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giovedì 30 giugno 2011
mercoledì 29 giugno 2011
Africa through iPhone 2010-2011 - Stefano Pesarelli
Malawi, Zambia, Mozambico, Tanzania e Kenya (2010-2011)
INTRODUZIONE
Quando la fotografia era agli albori, c’era un rituale di posa e scatto, di esercizi di laboratorio e alchimie che conferivano un carattere unico all’immagine prodotta. Oggi con le fotocamere digitali abbiamo a disposizione strumenti e dispositivi che, per molti versi, hanno fatto scomparire questa sensazione di unicità.
Credo che l’iPhoneography, l’arte di scattare con un iPhone, insieme alle nuove tecnologie, probabilmente ha di nuovo reso questa sensazione di “unicità” possibile.
Forse è solo una modesta illusione, forse bisognerebbe indagare in profondità, ma è certo che sta nascendo un nuovo linguaggio fotografico che ha reso le cose così “comunicanti” nella fotografia contemporanea di oggi.
Africa through iPhone è un progetto fotografico ampio che si propone di far amalgamare la realtà e le storie di un Continente con questo nuovo linguaggio fotografico per creare delle immagini decisamente palpabili e comunicanti.
Tutte le immagini sono scattate con un iPhone 3Gs e processate con le applicazioni per iPhone.
Le immagini sono pubblicate sul sito di Stefano e sul blo Fotogriphone, nella sezione "In viaggio".
martedì 28 giugno 2011
Francesco Zizola
Laureato in antropologia, dal 1986 le fotografie di Zizola sono apparse su riviste di tutto il mondo (The New York Times, Stern, Der Spiegel, El Mundo) ed ha ricevuto un totale di sette riconoscimenti World Press Photo, compresso il World Press Photo of the Year per alcuni scatti che documentavano la tragedia delle vittime delle mine antiuomo in Angola.
Mostre fotografiche di Zizola sono state esibite in tutta Europa. Sono stati inoltre pubblicati quattro suoi libri fotografici: Ruas, che ha vinto il MIFAV come miglior libro fotografico del 1994, Sei Storie di Bambini, Stati d'infanzia Né Quelque Part/Born Somewhere, frutto di un reportage di dodici anni sulle condizioni dei bambini in tutto il mondo.
www.zizola.com
Due interviste per capire il suo modo di lavorare:
lunedì 27 giugno 2011
domenica 26 giugno 2011
Henri Cartier-Bresson
Qua potete vedere un bellissimo video con una selezione di sue fotografie e la voce del maestro che spiega la sua visione della fotografia.
Biografia
La prima macchina fotografica, una Leica 1, di Cartier-Bresson.
Dopo gli studi giovanili, Henri fu presto attratto dalla pittura, grazie allo zio Louis, e comincerà i suoi studi con Jaques-Emile Blanche e André Lhote, che lo inizieranno all'ambiente dei surrealisti francesi, inizialmente disinteressato alla fotografia.
Solo più tardi, nel 1930, durante un viaggio in Costa d'Avorio, per via della sua continua ricerca di immortalare la realtà, comprò la sua prima macchina fotografica, una Leica 35mm con lente 50mm che l'accompagnerà per molti anni.
Nel 1931 lavora nel cinema come assistente del regista francese Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to life.
Intanto, nel 1934, conosce David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956). Diventano subito ottimi amici, hanno molto in comune culturalmente. Sarà Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa.
Durante la Seconda guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica.
Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film Le Retour, documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra "postuma", credendolo morto in guerra: si mette in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell'esposizione, inaugurata il 1947. Negli anni successivi è negli Stati Uniti, dove fotografa per Harper's Bazaar.
Nel 1947 fonda, insieme a Robert Capa e a David Seymour, la famosa Agenzia Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale.
La fotografia porta Henri in molti angoli del pianeta: Cina, Messico, Canada, Stati Uniti, Cuba, India, Giappone, Unione Sovietica e molti altri paesi. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell'Unione Sovietica del dopo-guerra. Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura, dichiarando: "In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l'unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà".
Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage. Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Muore a Céreste, (Alpes-de-Haute-Provence, Francia) il 3 agosto 2004, all'età di 95 anni.
Nella sua carriera ha anche ritratto personalità importanti in tutti i campi; Balthus, Albert Camus, Truman Capote, Coco Chanel, Marcel Duchamp, William Faulkner, Mahatma Gandhi, John Huston, Martin Luther King, Henri Matisse, Marilyn Monroe, Richard Nixon, Robert Oppenheimer, Ezra Pound, Jean-Paul Sartre ed Igor Stravinsky. Dalla morte di Cartier-Bresson, per evitare sfruttamenti commerciali slegati dal valore artistico delle opere, la Fondazione non autorizza più alcuna stampa di fotografie del maestro, offrendo però un servizio di autenticazione di eventuali stampe in circolazione in gallerie o antiquari. In una lettera datata 30 ottobre 2000, per evitare il commercio di stampe o lo smercio di copie sottratte, lo stesso fotografo dichiarava: “Io sottoscritto Henri Cartier-Bresson, domiciliato al 198 di rue de Rivoli, Parigi, dichiaro quanto segue. Ho sempre firmato e dedicato le stampe di mie fotografie a coloro ai quali intendevo donarle; tutte le altre stampe che recano solamente timbri o etichette «Magnum Photos» o il mio nome «Henri Cartier-Bresson» sono di mia proprietà. Tutti coloro che detenessero queste stampe non potranno invocare la buona fede". In linea con lo spirito che scaturisce da questo scritto, nel 1985 fece dono al Comune di Tricarico, città natale del poeta Rocco Scotellaro, di 26 fotografie che oggi costituiscono il primo e fondamentale nucleo di opere che saranno esposte nel museo delle arti figurative di quella cittadina.
Bibliografia
Il libro più famoso di Cartier-Bresson è The decisive moment (Il momento decisivo), Simon e Schuster, New York. Il titolo nella versione francese è Images à la sauvette. Scritto nel 1952, oltre a contenere una raccolta di talune delle foto più note del fotografo, descrive il modo stesso di fare fotografia di Cartier-Bresson. L'autore si occupa del reportage fotografico, del soggetto, della composizione, del colore, della tecnica, dei clienti.
Pierre Assouline ha inoltre pubblicato una biografia di Henri Cartier-Bresson, tradotta anche in italiano: Henri Cartier-Bresson. Biografia di uno sguardo, Photology, 2006.
Lo "Scrap Book"
Lo Scrap Book è l'album che Cartier-Bresson preparò per la mostra al MOMA nel 1946. Partito per gli USA con circa 300 foto nella valigia, all'arrivo acquistò un album ("scrap book" in lingua inglese) e vi collocò le immagini per mostrarle ai curatori. Dopo la mostra, finì sepolto in una valigia e poi nella biblioteca di casa, dove passò inosservato alla stessa moglie dell'artista fino al 1992, quando Cartier-Bresson ne aveva rimosso gran parte delle immagini a causa del deperimento della carta dell'album: soltanto 13 pagine rimasero integre.
Nel 2007 la fondazione dedicata a Cartier-Bresson decise di editarlo in volume in un'edizione restaurata ma il più possibile fedele all'album originale, pubblicata in Italia da Contrasto e che rappresenta una testimonianza eccezionale sulle scelte operate dal maestro per la mostra che l'avrebbe in un certo senso consacrato tra i maggiori fotografi del mondo.
Qualche immagine:
sabato 25 giugno 2011
venerdì 24 giugno 2011
Tutorial Adobe photoshop cs5 Foto montaggio
giovedì 23 giugno 2011
Paolo Pellegrin
Biografia
Nato a Roma nel 1964 frequenta inizialmente la facoltà di Architettura all' Università della Sapienza, ma abbandona gli studi senza conseguire la laurea durante il terzo anno di corso. Riconosciuto come uno dei maggiori fotoreporter di guerra collabora con testate giornalistiche quali Newsweek e New York Times magazine. E' stato insignito di numerosi premi, tra cui la Robert Capa Gold Medal (2006), lo Eugene Smith Grant in Humanistic Photography (2006), l' Olivier Rebbot for Best Feature Photography (2004), la Leica Medal of Excellence (2001), otto World Press Photo tra il 1995 e il 2007.
È appena tornato dal Cairo, dove è stato testimone dei movimenti tellurici che hanno portato il paese a un nuovo assetto politico, ma alla domanda sei un reporter d'assalto replica:
Sono tutto fuorché questo. Io sono un fotografo dei tempi lunghi, mi interessa la dimensione umanistica di quello che faccio, il racconto dell'uomo, e questo richiede un rapporto, anche dilatato, con i soggetti, i luoghi... Ovviamente la componente "avvenimenti", la Storia che si muove, è un nodo importantissimo e inevitabile, ma è uno spunto iniziale, io seguo una chiave umanistica, antropologica.
Come nasce Paolo Pellegrin?
Studiavo a Roma, architettura alla Sapienza, ero al terzo anno, ma non ero convinto, così ho deciso di cercare la mia strada altrove. E la fotografia mi interessava, da sempre. In realtà avrei voluto studiare antropologia, ma dopo architettura non mi andava di iscrivermi a un'altra facoltà. Mi sembrava che la fotografia potesse essere un modo per investigare sul mondo, sull'uomo, insomma, su me stesso. Questi ultimi 15, 20 anni, sono anni di grande complessità, estrema accelerazione, il mondo si è trasformato e si trasforma a una velocità impressionante. E noi abbiamo la fortuna di vivere una storia accelerata. Chiaramente anche con tutta una serie di grossi, enormi problemi. L'11 settembre è stato uno spartiacque.
Ma l'occhio di un fotografo nota dei cambiamenti nelle sue immagini? Si adatta a questa accelerazione?
Nel mio caso, il processo, casomai, è l'opposto... La fotografia è interessante perché è la traduzione immediata, istantanea, di chi è il fotografo in quel momento... L'atto del fotografare, che è una cosa così semplice, in realtà racchiude una cosa complessa: ogni volta che scattiamo, diamo voce a un pensiero, a un'opinione e trasmettiamo chi siamo in quel momento. E io ora so che la mia voce, la mia fotografia, sta diventando più asciutta, si sfronda.
Perché la tua mostra si chiama Dies irae?
Il titolo non l'ho scelto io, ma l'ho abbracciato perché penso che in questi anni, nel post 11 settembre, in questo mondo cambiato, e cambiato da noi, ci poteva stare un'idea di furia, o di ira.
Fellini, quando gli chiesero quale fosse tra i suoi il film quello che gli era piaciuto di più rispose che era come chiedere a un padre di scegliere il preferito tra i suoi figli.
Credo che la paternità dell'autore sia solo iniziale. Io come fotografo mi ritengo la scintilla, l'incrocio di cose che hanno creato delle immagini che poi hanno vita propria e quasi non mi appartengono più. Comunque, non ragiono in termini di singole immagini, ciò che mi interessa è un corpus di lavoro, come per esempio quello sulla Palestina: lì c'è la guerra in Libano nel 2006, ci sono le varie incursioni israeliane in Cisgiordania o a Gaza… La mia idea, insomma, è di una fotografia che si compone di singoli momenti che formano un insieme, un organismo che racconta la Storia. Noi abbiamo il grande privilegio e la responsabilità di essere dei testimoni.
Hai mai paura? Cioè pensi mai: mi sto esponendo ma questa foto la faccio lo stesso?
Beh, certo, i reporter si mettono sicuramente in gioco, pesantemente. Ma se decidi di assumerti il ruolo di testimone, esporsi è una condizione sine qua non, fa parte dell’equazione, complessa per altro, dello stare in certi posti. E starci vuol dire anche muoversi e riuscire a navigare e sopravvivere, ed è quindi un’enorme parte di quello che facciamo noi fotografi.
Le immagini, per quel che mi riguarda, non sono mai create. Credo di essere un testimone e in quanto tale non mi permetto mai di intervenire sulla realtà, il mio unico intervento è quello della mia presenza, è quello di esserci. Se ti metti, invece, a manipolare le situazioni, o a costruirle, viene meno la credibilità che il fotogiornalismo deve avere, secondo me. E poi, ho sempre trovato che la realtà fosse talmente complessa e ricca che non c’è bisogno di stare lì a rifarne un’altra.
mercoledì 22 giugno 2011
martedì 21 giugno 2011
Intervista Massimo Bassano, fotografo della National Geographic Society
Biografia di Massimo Bassano:
Massimo Bassano si trasferisce dalla Calabria a Milano, secondo un flusso migratorio ben collaudato. Qui la passione per la fotografia diventa un mestiere lavorando come assistente dei fotografi della National Geographic Society. Massimo si forma professionalmente in questa "scuola esclusiva" che prevede reportage di grande respiro e meticolosa documentazione scientifica. Ha viaggiato per tutti i continenti, dal mare alle nevi perenni. Il suo stile "National Geographic" è la firma con cui opera anche in Italia. Le sue storie sono pubblicate su alcune delle più affermate testate giornalistiche italiane ed internazionali.
Massimo è l'unico italiano a collaborare per la National Geographic Society di Washington.
Nel 2001, pubblica il libro fotografico "I colori del silenzio". Per la prima volta in 900 anni di storia, un fotografo condivide la vita claustrale dei monaci certosini. 12 settimane nel silenzio, vivendo le stesse regole dei monaci. In perfetto stile national geographic. Nel 2004 diventa giornalista professionista e nel 2006 l'Osservatorio dell'ONU per i Diritti Umani sceglie le sue foto sul Congo per una mostra a Toronto, in Canada. Massimo insegna fotografia per conto della National Geographic Society in tutto il mondo. Tiene un corso in America presso la prestigiosa Fondazione Maine Media Workshops. In Italia insegna "reportage e fotografia documentaria" presso l'Istituto Europeo di Design e l'Istituto Italiano di Fotografia.
Massimo è un curioso per natura e, pur non disdegnando alcun soggetto, resta incantato dal fotografare i popoli, con cui spesso si attarda a conversare. La fotografia di paesaggio è la rappresentazione più alta della sua passione per un popolo. Il paesaggio è la loro casa. Il paesaggio è rappresentazione del loro modo di vivere.
lunedì 20 giugno 2011
'A Tribute To Photography' - Milano fino al 31 luglio 2011
Artisti esposti:
ARTISTI: Cindy Sherman, Andres Serrano, Tracey Moffatt, David Levinthal, Robert Mapplethorpe, Eleanor Antin, David LaChapelle, Inez Van Lamsweerde & Vinoodh Matadin, Shirin Neshat, Thomas Ruff, Nan Goldin, Mat Collishaw, Motohiko Odani, Aura Rosenberg, Tim Davis, Naomi Fisher, Heli Rekula, Micha Klein, T. Greenfield-Sanders, Douglas Gordon, Glenn Brown, Tacita Dean, Vik Muniz, Ryan McGinley, Ed Templeton, Ari Marcopoulos, Catherine Sullivan, Jean-Pierre Khazem, Caio Reisewitz, Eelco Brand, Aspassio Haronitaki, Rong Rong, Ma Liuming, Zhu Ming, Huang Yan, Lu Zhengyuan, Li Wei, Jiang Zhi, Wang Ningde, Wang Qingsong, Weng Fen, Liu Zheng, Yang Fudong, Chen Lingyang, Cui Xiuwen, Yee I Lann, Emmanuel Santos, Bharat Sikka, Tejal Shah, Chitra Ganesh, Yinka Shonibare, Destiny Deacon, Nandipha Mntambo, Athi Patra Ruga, Ayana V. Jackson
Fonte: repubblica.it
domenica 19 giugno 2011
Mostra Che Guevara fotografo. El pensamiento y la mirada - Roma fino all'11 settembre 2011
CHE GUEVARA FOTOGRAFO
Dal 17 giugno al 11 settembre 2011
al Museo di Roma in Trastevere gli scatti del Comandante Guevara
L’esposizione, una fonte esclusiva per approfondire la conoscenza dell’universo umano e culturale del Che, è stata parzialmente presentata per la prima volta a Cuba nel 1990 e, fino ad oggi, ha attraversato una dozzina di cittá latinoamericane ed europee.
La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali, in collaborazione con l'Ambasciata di Cuba in Italia, e organizzata dall'associazione onlus AISSAI. Il materiale è concesso dal Centro de Estudios Che Guevara, La Habana - Cuba. I servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
Oltre alle foto, la mostra presenta interviste registrate in video inedite a persone che hanno accompagnato Guevara nel corso della sua vita, diventando testimoni eccezionali di tutta la sua opera, e a specialisti di diversi settori artistici che confermano l'importanza che l'autore assegnava
alla fotografia sia come forma d'arte sia come mezzo di documentazione. Sono esposte anche alcune immagini, di autori anonimi e conosciuti, in cui il Che appare accompagnato dalle sue macchine fotografiche.
Mostra
Che Guevara fotografo. El pensamiento y la mirada
Dove
Roma, Museo di Roma in Trastevere Piazza S.Egidio 1B
Martedì-domenica 10.00-20.00
la biglietteria chiude 1 ora prima
Biglietti
€ 6,50 intero, € 5,50 ridotto, gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali in collaborazione con l'Associazione onlus AISSAI (Associazione Italiana Sviluppo Sociale Artistico Internazionale).
Elliott Erwitt Icons . Merano dal 24 giugno al 25 settembre 2001
DAL 24 GIUGNO AL 25 SETTEMBRE 2011
LA MOSTRA
ELLIOTT ERWITT. ICONS
L’esposizione presenta 40 immagini, scelte tra i lavori più celebri, di uno dei più importanti fotografi del XX secolo.
Dal 24 giugno al 25 settembre 2011, MERANO ARTE dedica un’ampia retrospettiva al fotografo americano ELLIOTT ERWITT (1928), attraverso 40 immagini, scelte tra i suoi lavori più celebri, tutte stampate da Erwitt stesso nel suo studio di New York.
La mostra, curata da Valerio Dehò, ospitata dall’edificio Cassa di Risparmio (via Portici 163), organizzata in collaborazione con Sudest57, Milano e Galleria Spazia, Bologna, ripercorre la carriera di reporter e artista di Erwitt, attraverso le serie che hanno ormai conquistato un posto fisso nell’immaginario fotografico.
Molti dei suoi scatti sono diventati icone del Novecento, come quelli di Marilyn Monroe, di Nixon e Krusciov e soprattutto la serie di incontri tra i cani e i loro padroni, iniziata addirittura nel 1946. Erwitt fu attratto da un cagnolino con un pullover realizzato probabilmente dalla sua padrona di cui, nello scatto, sono rimasti solo i dettagli dei piedi. Da allora, il mondo del miglior amico dell’uomo è sempre stato indagato dal fotografo in modo spesso esilarante. I cani sono il soggetto di uno dei suoi libri fotografici più celebri come “Dog, dogs” in cui si miscela la satira sociale con una sorta di iperbole della condizione canina.
Molto importante è anche un suo libro dedicato al pubblico dei musei chiamato “Museum watching”, in cui non solo anticipa una tematica ripresa da ben più celebrati artisti come Thomas Struth, ma da cui emerge la sua intelligenza nel considerare sempre il rapporto tra l’opera d’arte e lo spettatore, come punto di vista privilegiato della pratica artistica.
Instancabile e sempre concentrato su nuovi progetti, Elliott Erwitt è un fotografo che lascia ancora il segno e che rappresenta non solo la storia della fotografia, ma anche un esempio di passione per un lavoro straordinario che lo ha portato a contatto con i grandi del Novecento, ma anche con le persone comuni e con la vita delle grandi metropoli.
Erwitt è un reporter sempre in viaggio. All’inizio della sua carriera ha lavorato per il Governo americano, ma è stato determinante l’incontro con Robert Capa, co-fondatore, con Cartier-Bresson, Rodger e Seymour, dell’agenzia Magnum, la celebre cooperativa di grandissimi fotografi che sono stati i testimoni dei grandi eventi del secolo scorso.
Nel 1953, poco prima della sua scomparsa durante la guerra di Corea, Capa fa entrare in Magnum il giovane Erwitt, che da lì a poco ne diviene presidente.
Parallelamente inizia a pubblicare i suoi servizi fotografici dando importanza ai dettagli, con la sua caratteristica ironia. Del resto, non ha mai voluto dare al suo lavoro enfasi o sacralità, si limita sempre al visibile. Numerosi volumi hanno accompagnato la sua produzione artistica e le sue mostre: tra i più famosi e riusciti, “Personal Best”, edito da teNeues, dove vien ben rappresentato il suo umorismo sottile e poetico che si muove sempre sul filo dell’inaspettato e del malinconico.
Grande narratore, Erwitt è unico nella sua generazione per la leggerezza del suo sguardo e per la capacità di saper trovare i lati più buffi e surreali di situazioni pur drammatiche.
Ironia che traspare anche in molte delle sue interviste come quella in cui gli fu chiesto “Perché lei deve pubblicare libri?”, “Perché - rispose - sono in giro da così tanto tempo che la maggior parte degli editori pensa che io sia morto!”.
Particolare è il suo rapporto con l’Italia e non solo per i motivi biografici (visse a Milano durante l’infanzia). Nel 2000, ha realizzato un calendario per la Lavazza e nel 2002 ha tenuto un’importante antologica allo Spazio Oberdan a Milano. Ha ritirato nel 2009 il Leica Lucca Digital Photo Festival Award.
Dal 20 maggio, l’International Center of Photography (ICO) di New York lo celebrerà con un’ampia retrospettiva che presenta una selezione di 100 immagini, effettuata dallo stesso Erwitt, scegliendo tra le sue preferite insieme con alcune stampe inedite dei suoi primi lavori.
Elliott Erwitt è nato in Francia da una famiglia di emigrati russi, nel 1928. Passa i suoi primi anni in Italia. A 10 anni si trasferisce con la famiglia in Francia e da qui negli Stati Uniti nel 1939, stabilendosi dapprima a New York, poi, dopo due anni, a Los Angeles.
Nei primi anni ‘50, Erwitt dopo essere transitato per Pittsburg, la Germania e la Francia, si stabilisce a New York, città che elegge sua base operativa fondamentale. Flessibilità e spirito d’adattamento necessari tanto alla sua professione che ai suoi interessi, lo hanno visto muoversi molto spesso intorno al pianeta prima di far ritorno alla base. Durante i suoi studi alla Hollywood High School, Erwitt lavora in un laboratorio di fotografia sviluppando stampe “firmate” per i fan delle star di Hollywood. Nel 1949 torna in Europa viaggiando e immortalando a lungo realtà e volti in Italia e Francia. Questi anni segnano l’inizio della sua carriera di fotografo professionista. Chiamato dall’esercito americano nel 1951 continua a lavorare per varie pubblicazioni e, contemporaneamente, anche per l’esercito americano stesso, mentre staziona in New Jersey, Germania e Francia.
La grande opportunità gli viene offerta dall’incontro, durante le sue incursioni newyorchesi a caccia di lavoro, con personalità come Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker che amano le sue fotografie al punto da diventare suoi mentori. Nel 1953 congedato dall’esercito, Elliott Erwitt viene invitato da Robert Capa, socio fondatore, ad unirsi a Magnum Photos in qualità di membro fino a diventarne presidente nel 1968. Ancora oggi ne è membro attivo e resta una delle figure leader nel competitivo mondo della fotografia.
I libri di Erwitt, i saggi giornalistici, le illustrazioni e le sue campagne pubblicitarie sono apparse su pubblicazioni di tutto il mondo per oltre quarant’’anni. Pur continuando il suo lavoro di fotografo Elliot Erwitt negli anni ‘70 comincia a girare dei film. Tra i suoi documentari si ricordano Beauty Knows No Pain (1971) Red White and Blue Glass (1973) premiato dall’American Film Institute e The Glass Makers of Herat.(1997)
Negli anni ‘80 Elliott Erwitt produce 17 commedie satiriche per la televisione per la Home Box Office. Dagli anni ‘90 fino ad oggi continua a svolgere una intensa e varia vita professionale che tocca gli aspetti più disparati della fotografia.
Tra le sedi espositive più prestigiose dove Erwitt ha presentato i suoi lavori, si segnala The Museum of Modern Art a New York, The Chicago Art Institute, The Smithsonian Institution a Washington D.C., The Museum of Modern Art di Parigi (Palais de Tokyo), The Kunsthaus a Zurigo, il Museo Reina Sofia a Madrid, The Barbican a Londra, The Royal Photografic Society a Bath, The Museum of Art del New South Wales a Sydney.
Merano (BZ), maggio 2011
ELLIOTT ERWITT. ICONS
MERANO ARTE - Edificio Cassa di Risparmio (via Portici 163)
24 giugno - 25 settembre 2011
Orari: da martedì a domenica, dalle 10:00 alle 18:00. Chiuso lunedì
Ingresso: € 5 intero; € 4 euro ridotto; gratuito fino ai 14 anni;
Informazioni: info@kunstmeranoarte.org – (+39) 0473 21 26 43; www.kunstmeranoarte.org
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
tel. 02.433403 – 02.36571438 - fax 02.4813841
press1@clponline.it; www.clponline.it
Comunicato stampa e immagini su www.clponline.it
Ufficio stampa MERANO ARTE
Giorgia Lazzaretto
tel. 0473 21 26 43; lazzaretto@kunstmeranoarte.org
sabato 18 giugno 2011
Workin'photo - Workshop fotografici a Torino
Nato grazie all'unione delle idee di Edoardo Di Pisa e di Marco Donatiello, Workin'photo è un gruppo di professionisti che ha lo scopo di diffondere l'arte fotografica attraverso l'organizzazione di corsi e workshops per fotografi amatori e professionisti.
I loro workshop sono concepiti per poter consolidare sul campo le proprie nozioni fotografiche, integrandole con la guida e i concetti esposti da fotografi esperti.
I workshop sono rivolti a tutti e non necessitano di attrezzatura professionale, chi è meno preparato potrà contare sul nostro appoggio tecnico, mentre quelli più bravi sfrutteranno le situazioni approfittando del fatto di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Confrontarsi inoltre con persone che condividono la stessa passione permette di valutare il proprio livello tecnico.
I loro workshop sono da concepire come un’utile palestra fotografica dove poter sfruttare a proprio beneficio la presenza di fotografi esperti e l’attrezzatura professionale messa a disposizione dei partecipanti.
Lo staff di workin'photo è composto da fotografi professionisti giovani e dinamici e da persone che lavorano per rendere possibili tutti i workshop in programma, in grado di lavorare in studio o all’aperto, con passione ed entusiasmo, fornendo un servizio completo, dall’idea del corso, alla sua realizzazione.
I fotografi di WORKIN’PHOTO sono tutti specializzati in vari settori della fotografia: foto di moda e glamour, still life, ritratti, reportage, fotografia naturalistica e fotografia subacquea, per garantire risultati sempre eccellenti all’altezza delle Vostre aspettative.
Grazie alla collaborazione con Canon, in molti workshop ci sarà la possibilità di provare per chi volesse, attrezzatura professionale, dalle lenti ai corpi macchina.
La biografia dei due fondatori:
E' nato nel 1977 a Milano e vivo a Torino. E' sempre stato affascinato dalle immagini, e nel 1990 ha iniziato a fotografare con una reflex a pellicola Mamiya/sekor 1000 DTL di sua madre, dalla quale ha preso la passione per le arti figurative.
In principio fotografava solo per documentare quello che vedeva, ma con il passare degli anni ha iniziato a capire che la fotografia poteva dare di più.
Ha conseguito il diploma di specializzazione in fotografia all’Istituto Europeo del Design e con questo passo ha iniziato a dedicarsi anima e corpo alla fotografia.
Dal 2000, fotografa esclusivamente con reflex Canon, nel 2004 è passato al digitale e attualmente è fotografo professionista e membro del CPS (Canon Professional Service).
Per la post produzione utilizza i Macbook Pro e le sue foto vengono immagazzinate in Aperture. Elabora con cura ogni foto, a volte utilizzando anche tecniche abbastanza sofisticate con Photoshop.
Il lavoro di fotografo nel corso di questi anni lo ha portato a visitare paesi e culture diverse, tali esperienze gli hanno permesso di crescere professionalmente sotto diversi punti di vista.
Si è dedicato alla fotografia in studio, al reportage di viaggio alla fotografia naturalistica, soprattutto in Africa (continente che ama) e alla fotografia subacquea. Ha così deciso di mettere a disposizione le sue conoscenze a tutti gli appassionati di fotografia attraverso dei workshop, ovvero momenti di incontro in cui consolidare le nozioni fotografiche direttamente sul campo, in luoghi di sicuro interesse e ricchi di stimoli visivi.
E' nato ad Oneglia, ma vive da anni a Torino. Ama la fotografia da sempre e sperimenta continuamente nuove soluzioni e stili. Predilige la ritrattistica e il reportage, in particolare quello sociale, attraverso il quale viene a contatto con persone e realtà diverse ed emozionanti. Dal 2007 ha trasformato la sua passione in attività professionale, aprendo uno studio fotografico nella sua città, il DP Studio - Fotografie d'autore -, per il quale ha scelto uno stile sobrio ed elegante, che fosse in grado di rispondere alle esigenze delle persone e delle aziende di cui si occupo e di trasmettere la professionalità che lo caratterizza.
E' un fotografo professionista membro del CPS (Canon Professional Service) e iscritto alla TAU VISUAL, Associazione Nazionale Fotografi Professionisti.
Considera la fotografia una vera e propria forma di arte e convoglia molte delle sue energie nell’aiutare a diffondere nel nostro paese la cultura fotografia che ancora è carente. Tiene numerosi corsi di fotografia di base e avanzati, di fotoritocco, workshop, fa parte di circoli e gruppi fotografici, organizza mostre fotografiche ed ha sempre progetti fotografici a lungo termine sui quali lavora per anni.
Il SITO
il BLOG
Un video di backstage di un workshop organizzato da Workin'photo
venerdì 17 giugno 2011
UN VIAGGIO NELLA MANIPOLAZIONE FOTOGRAFICA DALLE FATE DI COTTINGLEY AI GIORNI NOSTRI a cura di Donatiello e Rebora - Torino - 22 giugno 2011
“...una fotografia è considerata dimostrazione incontestabile che una data cosa è effettivamente accaduta. Può deformare, ma si presume sempre che esista, o sia esistito, qualcosa che assomiglia a ciò che si vede nella foto...”
La fotografia ha perso la sua innocenza parecchi anni fa... Pochi anni dopo che Niepce realizzò la prima fotografia nel 1814, nascevano già le prime manipolazioni.
L’etica è stata spesso sacrificata a favore dell’estetica, della ragione politica o degli interessi politici.
Nonostante questo ancora oggi si continua a credere che se un fatto è documentato da fotografie, allora vuol dire che è avvenuto, senza tenere conto che si può manipolare più o meno tutto.
Un viaggio, condotto da Marco Donatiello e Riccardo Rebora, inizia nel mondo delle fate e si conclude ai giorni nostri, che affronta il problema dell’etica fotografica passando attraverso manipolazioni di tutti i tipi.
Non mancate l’appuntamento il 22 giugno alle ore 21.00 presso la sede del Gruppo Fotografico La Mole in via Aquila 21 a Torino.
Entrata libera.
Per informazioni: info@gflamole.it
Robert Capa
I suoi reportage rendono testimonianza di cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola, la seconda guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra d'Indocina.
Capa documentò inoltre il corso della seconda guerra mondiale a Londra, nel Nordafrica e in Italia, lo sbarco in Normandia dell'esercito alleato e la liberazione di Parigi. Il fratello minore di Capa, Cornell, è stato anch'egli un fotografo.
Biografia
Nato in Ungheria, Capa abbandona in giovane età la terra natale a causa del proprio coinvolgimento nelle proteste contro il governo di estrema destra; milita nel Partito Comunista locale. L'ambizione originaria di Capa è di diventare uno scrittore, ma l'impiego presso uno studio fotografico a Berlino lo avvicina al mondo della fotografia.
Nel 1933 lascia la Germania alla volta della Francia a causa dell'avvento del nazismo (Capa era di origini ebraiche), ma in Francia incontra difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance.
È in questo periodo che adotta lo pseudonimo di Robert Capa - per il suono più familiare all'estero e per l'assonanza con il nome del popolare regista statunitense Frank Capra - e fonda con altri l'agenzia fotografica Magnum Photos (1935); dal 1936 al 1939 si trova in Spagna, dove documenta gli orrori della guerra civile.[2]
"Il miliziano colpito a morte"
Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per una foto scattata a Cordova, dove ritrae un soldato dell'esercito repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Questa foto è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate. Fu pubblicata, per la prima volta, sulla rivista VU, poi su Life, sul Picture Post e poi migliaia di altre volte.
La foto è stata al centro di una lunga diatriba in merito alla sua presunta inautenticità, che sarebbe dimostrata in base al lavoro svolto dallo storico della fotografia Ando Gilardi, che avrebbe analizzato, nei primi anni '70, i negativi originali di Capa relativi alla nota foto.[3][4]
Stando alla ricostruzione di Gilardi, il quotidiano di Barcellona "El Periodico de Catalunya" avrebbe accertato che la celebre foto fu scattata nei pressi di Cordova, in Andalusia, nel villaggio di Espejo, e non nella località di Cerro Muriano, come affermato da Robert Capa. Il quotidiano, inoltre, precisa che le due località si trovano a 50 km di distanza, con il decisivo particolare che a Espejo, nei giorni in cui venne scattata la foto, non si svolgeva alcun combattimento tra i miliziani repubblicani e le forze fasciste agli ordini di Francisco Franco. Secondo il quotidiano di Barcellona, la foto di Capa sarebbe stata scattata ai primi di settembre del 1936, quando Espejo era ancora saldamente nelle mani delle forze repubblicane, mentre una battaglia era invece in corso a Cerro Muriano. Solo a fine settembre si registrò, infatti, qualche scontro isolato a Espejo, peraltro senza vittime. A metà degli anni '90 si diffuse, poi, la notizia che il miliziano ritratto da Capa fosse un anarchico, tale Federico Borrell Garcia, il quale sarebbe morto effettivamente in combattimento, ma non in campo aperto come nella celebre foto, bensì dietro un albero. A sostegno della tesi dell'inautenticità è anche un libro dello studioso José Manuel Susperregui, "Sombras de la fotografia" (Ombre della fotografia), in cui si afferma che l'immagine sarebbe stata scattata con una Rolleiflex, appartenuta alla compagna di Capa, la fotografa comunista tedesca Gerda Taro, morta a 27 anni nel 1937 nei pressi di Madrid (a Brunete, schiacciata durante un errore di manovra di un carro armato 'amico'), mentre Capa fotografava esclusivamente con una Leica. La Rolleiflex produce negativi di forma quadrata, i negativi della Leica sono, invece, rettangolari. Ancora a sostegno di questa tesi, esistono anche video che sarebbero frutto di ricerche digitali e geo-morfologiche, reperibili su un noto motore di ricerca audio-visivo e un documentario tedesco sulla grande figura di Capa.
Di per sé, l'eventuale inautenticità della foto nulla toglierebbe al valore storico che essa ha acquisito come simbolo dei soldati lealisti morti durante la guerra civile spagnola.
Tuttavia, lunghe ricerche storiche condotte dal biografo di Capa Richard Whelan affermano, invece, con certezza che la foto sarebbe indiscutibilmente autentica. Il miliziano è, in effetti, l'unico morto quel giorno, Federico Borrell Garcia, che sarebbe morto effettivamente a Cerro Muriano, nei pressi di Cordova, nel 1936, e la notizia sarebbe registrata negli archivi ufficiali.
La mostra di fotografie di Robert Capa e Gerda Taro che s'è tenuta al Forma di Milano, dal 28 marzo al 21 giugno 2009, presenta materiale molto recente, a sostegno dell'autenticità della foto.
A chi poneva domande su quella foto, Capa rispondeva: "Per scattare foto in Spagna non servono trucchi, Non occorre mettere in posa. Le immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità."
Molte delle foto di Capa della Guerra civile spagnola furono, per molti decenni, ritenute perdute, ma riemersero a Città del Messico alla fine degli anni 1990. Mentre fuggiva dall'Europa nel 1939, Capa aveva perso la raccolta, che nel tempo fu soprannominata la "valigia messicana". La proprietà della raccolta fu trasferita alla Capa Estate, e nel dicembre 2007 passò al Centro internazionale di fotografia, un museo fondato dal fratello minore di Capa, Cornell, a Manhattan.
Allo scoppio del Secondo conflitto mondiale Capa si trova a New York, dove si era recato in cerca di lavoro e in fuga dalle persecuzioni anti-ebraiche; la guerra lo trova assegnato in diversi teatri dello scenario bellico. Inizialmente fotografa per il Collier's Weekly, per poi passare a Life.
La Seconda guerra mondiale: Capa in Sicilia
Nel luglio del 1943 raggiunge la Sicilia. Il grande reportage di Robert Capa sullo sbarco Anglo-Americano in Sicilia iniziò con un volo in paracadute, in perfetto stile bellico.
Purtroppo la maggior parte delle foto scattate quel giorno ad Omaha Beach a causa di un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo, andarono perdute. Si salvarono solo undici fotogrammi danneggiati, che trasmettono tutta la drammaticità dell’impresa la maggior parte sono, citando le parole di Capa:
“slightly out of focus” (ovvero “leggermente fuori fuoco”),
nome con il quale , non a caso, Robert intitolò l’autobiografiapubblicata nel 1947.
A proposito delle esperienze vissute durante lo sbarco in Normandia, Capa disse :
«Il corrispondente di guerra ha in mano la posta in gioco, cioè la vita, e la può puntare su questo o quel cavallo, oppure rimettersela in tasca all’ultimo minuto. Io sono un giocatore d’azzardo.»
Dopo un anno di lavoro nel Nord Africa, seguendo le truppe americane e appena licenziato dalla rivista Collier's Weekly, per la quale aveva inviato foto dall'Algeria e dalla Tunisia, Robert Capa si apprestò senza indugi a lasciare Tunisi e a farsi lanciare con il paracadute in Sicilia, avendo saputo che gli anglo-americani si stavano preparando a invadere l'isola. Era il luglio del 1943 e a bordo di un piccolo aereo con pochi soldati Capa arriva in Sicilia: di notte si lancia col suo paracadute, atterra su un albero, dove rimane sino all'indomani, quando gli altri tre paracadutisti che erano con lui lo trovano e lo aiutano a scendere. Il gruppo si incammina attraverso un bosco e giunge in una fattoria dove viene accolto da «un anziano contadino siciliano in lunga camicia da notte» che subito fraternizza con loro e li ospita per tre giorni, fin quando arrivano i militari della prima divisione americana. Unitisi a loro, Capa e i suoi compagni, possono avanzare verso gli importanti obiettivi militari della campagna di Sicilia.
Lungo il percorso Capa scatta numerose foto. Dopo tre settimane dallo sbarco, gli americani si avvicinano al capoluogo dell'isola. Ricorda Capa: «Eravamo alla periferia di Palermo i tedeschi erano stati isolati e ciò che restava delle forze italiane non aveva intenzione di combattere. La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata lungo il percorso verso il centro della città. La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a "Brook-a-leen". Ero stato all'unanimità riconosciuto come siciliano dalla folla in festa. Ogni rappresentante della popolazione maschile voleva stringermi la mano, le donne più anziane darmi un bacio e le più giovani riempivano la jeep di fiori e frutta. Nulla di tutto ciò mi fu di un qualche aiuto per scattare fotografie».
Giunto a Palermo, Capa, fotoreporter licenziato, invia le sue foto a Life convinto che la rivista americana «non avrebbe potuto certamente farne a meno» e sentito che la 1ª Divisione di Fanteria (USA) stava combattendo da qualche parte in mezzo alla Sicilia, si avvia alla ricerca della nuova battaglia da fissare sulla pellicola. Gli americani stavano combattendo a Troina nell'interno dell'isola e avevano notevoli difficoltà ad espugnare il paese difeso da soldati italiani e tedeschi che opponevano una strenua resistenza. I combattimenti durarono sette giorni. La ritirata e la resa avvennero solo dopo feroci bombardamenti aerei che distrussero gran parte del centro abitato della piccola cittadina.
Furono giorni di intenso lavoro per Capa che realizzò su quelle isolate montagne alcune foto che diventeranno tra le più famose della sua carriera, ma anche di profondo risentimento per tutto quello che gli accadeva intorno: «Era la prima volta che seguivo un attacco dall'inizio alla fine ma fu anche l'occasione per scattare ottime foto. Erano immagini molto semplici. Mostravano quanto noiosa e poco spettacolare fosse in verità la guerra. Il piccolo, bel paesetto di montagna, era completamente in rovina. I tedeschi che lo avevano difeso si erano ritirati durante la notte abbandonando alle loro spalle molti civili italiani, feriti o morti. Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati. Pensavo che non avesse alcun senso questo combattere, morire e fare foto, quando il generale Theodore Roosevelt Jr., sempre presente dove la battaglia era più dura, si avvicinò e puntando il suo bastone verso di me disse: "Capa al quartier generale di divisione c'è un messaggio per te. Dice che sei stato assunto da Life". Ripartito da Troina per Palermo e poi documentando ancora la guerra sino allo sbarco in Normandia, Robert Capa porterà con sé il suo convincimento amaro sulla natura della guerra: «Un inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli». Convincimento che gli eventi siciliani avevano confermato e rafforzato.
Il 6 giugno 1944 partecipa al sanguinoso sbarco del contingente americano ad Omaha Beach, in Normandia. La maggior parte delle foto scattate durante lo sbarco andò perduta per un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo (Larry Burrows, anch'egli divenuto fotografo di fama mondiale e morto anch'egli in Viet Nam, negli anni settanta); scamparono alla distruzione solo undici fotogrammi danneggiati,che trasmettono comunque tutta la terribile drammaticità dei momenti del D-Day.
Il dopoguerra e la morte
Nel 1947 a Parigi fonda - assieme a Henri Cartier-Bresson, David "Chim" Seymour e George Rodger - l'agenzia cooperativa Magnum, diventata una delle più prestigiose agenzie fotografiche.
Capa era famoso anche per la sua temerarietà, che lo aveva portato ad andare all'attacco con la prima ondata nello Sbarco in Normandia e a paracadutarsi da un aereo assieme ai militari professionisti per ritrarre da vicino l'attraversamento del Reno.
La sua passione e la sua vita, l'amore per la fotografia, lo porta a morire nel 1954 durante la Prima Guerra d'Indocina, al seguito di una squadra di truppe francesi, saltando in aria dopo essersi inoltrato inavvertitamente in un campo minato.
Qualche immagine
giovedì 16 giugno 2011
Photoaid Contest “Anche tu Fotoreporter” - iscrizioni aperte fino al 18 settembre 2011
Istituto Italiano di Fotografia (IIF) promuove anche quest'anno il PhotoAid Contest “Anche tu fotoreporter”, concorso organizzato dall’Associazione Photoaid, agenzia non profit per il reportage sociale, in collaborazione con l’Associazione Arché Onlus.
Il concorso, a tema libero, desidera valorizzare i reportage fotografici ispirati a tematiche sociali attraverso un linguaggio vivace e dinamico, esaltato da un approccio fotografico “rispettoso” e concreto, ottimista e sensibile.
Possono partecipare al Contest fotografi professionisti e non, sia Italiani sia stranieri, che potranno presentare fotografie in bianco e nero e a colori.
Il vincitore del concorso avrà la possibilità di vivere un’esperienza unica affiancando un fotografo di Photoaid durante un lavoro di reportage all’estero, ma si aggiudicherà anche una reflex NIKON digitale (d300s) e un corso organizzato da Marianna Santoni (Guru del digital imaging). Al 2° classificato verrà riservata una Borsa di studio per un corso "Topic Session" di Reportage presso Istituto Italiano di Fotografia (anno accademico 2011/2012), mentre il 3° classificato potrà accedere ad una Borsa di studio per un workshop di reportage in Toscana organizzato dall'Agenzia Photoaid.
La giuria, presieduta da Paolo Pellegrin (fotografo dell’Agenzia Magnum), vedrà tra le sue fila anche Marianna Santoni e Maurizio Cavalli, Direttore di Istituto Italiano di Fotografia.
Le iscrizioni sono aperte a partire dal 1° maggio e fino al 18 settembre 2011.
Per informazioni:
www.photoaid.eu - info@photoaid.eu.
mercoledì 15 giugno 2011
UNDERGROUND Fotografie di Riccardo Scibetta Roma fino al 6 luglio 2011
C'è una sola luce in fondo al tunnel. La luce della macchina fotografica. L'unica capace di trafiggere il buio, ridare vita a forme, oggetti e colori. "Underground", proprio come quando si cammina dentro il tunnel di una metropolitana, è una mostra ambientata nella notte. Dove ogni fotogramma appare all'improvviso, squarciando il nero che ci avvolge. E mostrando l'ambiguità del mondo che ci circonda, un mondo di visioni reali e immaginare, che si alternano, si invertono quando meno ce l'aspettiamo. E' così che Riccardo Scibetta ci porta a scoprire piani inesplorati. A riflettere su ciò che a prima vista, sfugge all'occhio. A interrogarsi sulla dolorosa dualità del reale. Un'immagine non riflette mai soltanto ciò che mostra, ma lascia scorgere dell'altro dietro di sé e dentro di noi. Scibetta lo fa da dietro un obiettivo: sovrappone pensieri, non chiude staticamente in una scatola predefinita l'esistente, ma in ogni opera, il singolo dettaglio interpreta se stesso e, al contempo, l'insieme dona anima ad una nuova spettacolare visione del presente. La sua tridimensionalità coinvolge e stimola visioni a chiunque si soffermi ad osservare i suoi lampi non distrattamente. L'interpretazione è libera perché è libero il lavoro di Scibetta. Offre suggestioni, chiavi di lettura, illusioni che latenti, si agitano in ogni essere umano. Ma non pretende di fornire gli strumenti per decrittare il mistero. Non è il suo compito. Se lo diventasse, dovrebbe lasciare la macchina fotografica nell'angolo. Scibetta cammina nel dubbio e noi ci lassciamo accompagnare.
L'autore:
Riccardo Scibetta
Nato a Besana Bianza (MI) il 27.10.1971, attualmente risiede tra Cammarata e Roma. Si laurea in architettura nel 1999. Dal 2000 si dedica alla fotografia collaborando con riviste specializzate. Nel 2001 vince il festival foto di Savignano sul Rubicone dal 2003 fino al 2005 fa parte dell'agenzia fotografica Grazia Neri ; sempre nel 2003 ottiene una menzione speciale al concorso talento fotografico FNAC per il lavoro Sicilia ritrovata e nel 2005 vince il concorso Yann Geffroi con il progetto Ouragan. Il suo curriculum documenta la partecipazione a diversi festival e a progetti espositivi di respiro nazionale e internazionale oltre a diverse pubblicazioni.
ESPOSIZIONI PERSONALI
2009 Visioni di cantiere, centro d'arte piana dei colli, Palermo
2008 Sicilia, photo gallery kulttuurikeskus, Finlandia
2007 ouragan, museo nazionale della fotografia, Brescia
2007 contaminazioni, castello medievale, Cammarata
2006 ouragan, maison de la culture, Amiens
2005 ouragan, teatro Garibaldi, Palermo
2005 Sicilia ritrovata, festival di fotografia, Piacenza
2004 Sicilia ritrovata, fondazione italiana per la fotografia, Torino
2000 Palermo fuori di scena, Libreria Dante, Palermo / Spazio Giovenzana, Milano
ESPOSIZIONI COLLETTIVE
2010 Isla de luz, Istituto Cervantes, Palermo
2009 TOYS, festival 2 mondi, Spoleto
2007 Viaggio in Sicilia, Santa Maria dello Spasimo, Palermo
2006 Made in Italy, galleria Santa Cecilia, Roma - laboratorio LANA, Napoli
2003 circa 35, festival internazionale di fotografia, Roma
2003 attenzione talento fotografico FNAC, sedi fnac Italia
PUBBLICAZIONI
2009 Raimbow, Le grandi fotografie della nostra storia, Hachette - Contrasto
2008 E gridammu tutti, autoprodotto
2007 Scirocco, ZOOM
2007 Uomini e cose - progetto per l'arte e per il territorio, Planeta edizioni
2006 Made in Italy - CGIL 100, edizioni Trolley
2005 Polaroid - Gente di fotografia
2001 Polaroid, ZOOM
UNDERGROUND Fotografie di Riccardo Scibetta
A cura di VisiOnAir
Roma, 15 giugno – 6 luglio 2011
Vernissage mercoledì 15 giugno ore 19.00
La mostra personale di Riccardo Scibetta prosegue dal 16 giugno al 6 luglio 2011
Dal lunedì al venerdì dalle 10:00 alle 13:00 | 15:00 alle 21:00
OFFICINE FOTOGRAFICHE | Via G. Libetta 1, Roma | Ingresso gratuito |Tel. 06.5125019
www.officinefotografiche.org
of@officinefotografiche.org
martedì 14 giugno 2011
Fotografia al femminile: una visione differente - Milano - 16, 22 e 28 giugno
Fotogiornaliste o fotografe, legate al mondo dell'arte, che già a partire dalla metà dell'Ottocento hanno sperimentato con straordinaria perseveranza e in modo del tutto autonomo il mezzo fotografico, raccontando la società del proprio tempo con estrema sensibilità.
Sara Munari, docente di storia della fotografia, comunicazione visiva e tecnica fotografica, nonché fotografa di reportage, dedica questi incontri ad alcune grandi fotografe del XIX e XX secolo.
in collaborazione con la Feltrinelli Librerie
via Manzoni, 12 - Milano
Gli incontri si svolgono dalle ore 17:30 alle ore 19:30
16 giugno: Gli albori
22 giugno: L’inizio di un’avventura
28 giugno: La ricerca
http://artside.istitutoitalianodifotografia.it
Tel +39 02 58105598
info@istitutoitalianodifotografia.it
lunedì 13 giugno 2011
Inside/Outside di Roland Ellison - Torino - 17 giugno - 10 luglio 2011
17 giugno - 10 luglio 2011
inaugurazione giovedì 16 giugno ore 19.00
Mirafiori Galerie
Piazza Cattaneo 9, Torino
La Mirafiori Galerie ospita dal 17 giugno al 10 luglio Inside/Outside, la mostra che presenta al pubblico torinese 30 immagini di Roland Ellison, l’autore inglese scomparso lo scorso gennaio, celebrandone il grande talento fotografico.
Le immagini di Roland Ellison sono un atto intimo e privato che si completa nel momento della loro esposizione con l’intervento dello spettatore che si riflette nelle sue opere come davanti ad uno specchio, sulla cui superficie emergono, antagonisti, il bene e il male della società, il bello e il brutto, il bianco e il nero, la luce e l’ombra.
I netti contrasti della società contemporanea si materializzano in luci intense e ombre dure e svelano la sua fascinazione per il quotidiano concretizzando forme e colori astratti da qualsiasi soggetto, sia esso un paesaggio urbano o desertico, un’architettura o un corpo. Il soggetto ripreso è solamente il pretesto per scrivere con la luce appunti e riflessioni sui luoghi e sull’umanità che li abita, li colora, li vive.
CENNI BIOGRAFICI
Grazie al suo dinamismo Roland entra in contatto con molte persone con cui condivide esperienze ed idee, uno spirito positivo che lo porta a co-curare l’ultima edizione di Paratissima a San Salvario (2010), dove per la prima volta espone in una personale.
La mostra Inside/Outside è organizzata da Paratissima e VISUAL Centro Sperimentale di Fotografia in collaborazione con Mirafiori Motor Village e MPL Plastificazioni
Inside/Outside di Roland Ellison a cura di Davide Giglio
dal 16 Giugno al 10 Luglio 2011
Inaugurazione Giovedì 16 Giugno ore 19.00
Mirafiori Galerie - Mirafiori Motor Village
Piazza Cattaneo 9, Torino
Ingresso libero
Dal lunedi al sabato: 9.00-19.30 orario continuato
Domenica 9.30-13.00 / 15.00-19.30
mirafiorimotorvillage.it
centrovisual.it / paratissima.it
domenica 12 giugno 2011
Usa, la Grande Depressione a colori
Qua tutte le fotografie
What was he thinking as this picture was taken? A young boy in Cinncinnati, Ohio, in 1942 or 1943
Library of Congress
Fonte: repubblica.it