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martedì 13 marzo 2012
Intervista a Massimo Berruti
Biografia:
Italian. Born in 1979 in Rome where he presently lives.
After a few photography courses, Massimo Berruti stopped his biology studies in 2003 to delve deeper into photography. A freelance photographer since 2004, he started to work in Eastern Europe and mostly Italy. There he focused on immigration, suburbs and the industrial crisis plaguing the region.
Since 2007 he has travelled in central Asia, particulary Pakistan and Afghanistan, and began approaching the subject of social change.
"It is very rare that one experiences so directly, before a photographic work, the feeling of what inspired it and of what from day to day was its purpose. It is especially so as this feeling is completely contrary to what we think – or believe – we know of war photography"
Christian Caujolle in "Lashkars" Ed Actes Sud 2011
Massimo Berruti, was the laureate of the City of Perpignan Young Reporter's Award and laureate of the Carmignac Gestion Prize of Photojournalism.
sabato 10 settembre 2011
Intervista di Chico De Luigi al Fatto quotidiano
Ha fotografato Jarmusch, Araki, Patti Smith, Cristina Ricci, Vittorio Gassman e Jim Carrey, Antonioni e Ligabue, ma Federico De Luigi ha sempre sottratto i suoi soggetti dal patinato uniformante delle immagini ufficiali, cercando di mostrarne espressioni stranianti, risate, difetti e sbavature. "A prescindere dalla tecnica osa, osa sempre, ogni volta che scatti, osa, a prescindere da come la pensi, osa più che puoi".
Nel suo sito a parlare di lui ci ha messo la fotografia della sua carta d’identità, scarne note biografiche e, tra le tante immagini, una lettera in cui Federico Zeri, da lui fotografato al Grand Hotel di Rimini, gli chiede di diventare suo fotografo ufficiale sorpreso dalla bellezza, naturalezza e verità delle sue immagini. Ma pure la chat di Facebook con il maestrone Jodorowsky, le mutande donategli da Gregg Araki con un fallo disegnato a pennarello, e la dedica “Buona fortuna” di Federico Fellini scritta a gesso su un ciak: cortesie tra concittadini rivieraschi.
Non può che parlare per immagini Enrico De Luigi, in arte Chico, classe 1966, professione fotografo. Lo fa da sempre, almeno a giudicare da quell’immagine in bianco e nero che lo ritrae, bambino, con una macchina fotografica in mano a ritrarre una bella signora sdraiata su un letto con un bambino tra le braccia: mamma e fratellino appena nato.
Ritrattista e fotografo di scena, Chico vive la sua vita poco normale a Rimini con la moglie, nella casa di due gatti neri. Le sue immagini sono comparse sulle più prestigiose riviste nazionali ed internazionali. Ha vinto premi (come quello per la miglior fotografia di scena attribuito a uno scatto sul set di Caos calmo, un intenso bianco e nero con Nanni Moretti e Valeria Golino), fotografato in Polaroid 50×60 attori e registi ai Festival di Venezia e Berlino, collabora da anni con la Fandango (ha da poco terminato L’ultimo terrestre, esordio cinematografico del fumettista Gipi che sarà presentato al prossimo Festival di Venezia). Ha lavorato come operatore super 8 a “Super 8 stories” di Emir Kusturica, il documentario con le gesta della rock band del regista.
La galleria di personaggi catturati dal suo obiettivo è impressionante: Jim Jarmusch e Gregg Araki, Christina Ricci, Patti Smith, Vanessa Redgrave, Filippo Timi, Vittorio Gassman, Vinicio Capossela inseguito durante il tour americano del suo penultimo cd “Da solo”. E ancora Penelope Cruz e consorte Xavier Bardem, Michelangelo Antonioni, Jim Carrey ed Helena Bonham Carter, i nostrani Ligabue, Jovanotti, Sergio Rubini, Margherita Buy. Tutti sottratti al patinato uniformante delle immagini ufficiali, nell’intento di mostrarne espressioni stranianti, risate, difetti e sbavature.
E a vederlo, Chico, con la sua aria a metà tra alieno e folletto e i chiarissimi occhi azzurri, il volto plastico di chi ha riso tanto e tanto ha preso in giro se stesso e gli altri, si comprende che ci deve essere una sorta di fluido che da lui emana e contagia i soggetti delle sue fotografie, famosi e non, e che li spinge a rivelare il proprio spirito più folle e irriverente, assieme a una nudità (che non disdegna, secondo le sue dichiarazioni, specie se di belle donne) che non nasce da malizia ma dalla volontà di rivelazione naturale e profonda del proprio io, e che forse per questo diventa alla fine più erotica ed erotizzante, come nel mascara sbavato di alcune foto di Claudia Pandolfi, sua grande amica.
Alla sua Rimini ha dedicato una serie di scatti collezionati tra il 1989 e il 1998: una Rimini in bianco e nero di nostalgia gaudente e popolana, tra tette in vetrina, pali di lap dance e conversazioni animate di anziani che sfogliano una qualche Gazzetta di Romagna su una panchina. Una Rimini svelata nella sua doppiezza, da un lato scenario di cartapesta per turisti, con la promessa di sesso facile e belle bagnanti nordeuropee, dall’altro la città chiusa in sé e di sé gelosa, quella che i villeggianti non conoscono né conosceranno mai, che Rimini sa conservare il suo cuore più segreto solo per i riminesi, lasciando gli altri ai girarrosti del lungomare.
Una serie di immagini che ha, tra le altre cose, accompagnato con un libretto il cd di un giovane e talentuoso cantautore riminese, Daniele Maggioli, che qualche anno fa con il suo “Pro Loco” dipinse in un concept album l’immagine della Rimini sospesa tra turismo caciarone e stereotipo e la città che difende il suo cuore più antico, quella che anche a novembre vive assieme alla nebbia sulla spiaggia. Anche se quello che lo attrae maggiormente è la geografia intima dei volti e dei corpi, quella che rivela un’intera esistenza, il modo di affrontare cose e casi della vita nascosto dietro a un aggrottare di ciglia o più spesso all’esplosione di riso e al ghigno, alla smorfia, alla linguaccia.
Mappature dell’anima, volti e corpi che rivelino la propria unicità, come fece con la mostra Soul Maps, nella quale ritrasse volti e corpi tatuati, che raccontassero nei segni indelebili di inchiostro la propria personalissima storia. Lo fa continuamente con il suo “No Panic Therapy”, un workshop che porta in giro per l’Italia e che definisce con queste parole: “i workshop No Panic sono esperimenti catarifrangenti del mio approccio bizzarro alla fotografia.
Tecnica? Forget about it! In un workshop No panic entri che sei tu ed esci che sei te stesso, sarà come se a metterci a fuoco fosse stato un frullatore”. Chi scrive partecipò qualche tempo fa a uno di questi esperimenti, in un locale di Santarcangelo di Romagna, altra terra di artisti, poeti e vecchi saggi. Chico fece indossare ai partecipanti strettissime calze di nylon sulla testa, e fotografò poi impietosamente i volti deformati, i nasi schiacciati e le bocche storte nella morsa, il viso reso maschera di gomma a rivelarne ogni umanissimo difetto e storpiatura.
E d’altra parte il mantra sul suo sito recita “a prescindere dalla tecnica osa, osa sempre, ogni volta che scatti, osa, a prescindere da come la pensi, osa, osa più che puoi, potresti accorgerti che sei all’altezza giusta per poterlo fare. Osa”. Tra i tanti scatti ce ne sono alcuni che più di altri rivelano il suo tocco unico: la (solitamente) imbalsamatissima Michela Quattrociocche, reginetta incontrastata del moccianesimo al cinema, che ride a bocca larga e con un paio di boxer maschili, simpatica, vitale, esplosiva, addirittura sexy come una lolita. Questo si chiama osare. E riuscirci.
Il sito di Chico De Luigi
lunedì 4 luglio 2011
domenica 3 luglio 2011
giovedì 23 giugno 2011
Paolo Pellegrin
Biografia
Nato a Roma nel 1964 frequenta inizialmente la facoltà di Architettura all' Università della Sapienza, ma abbandona gli studi senza conseguire la laurea durante il terzo anno di corso. Riconosciuto come uno dei maggiori fotoreporter di guerra collabora con testate giornalistiche quali Newsweek e New York Times magazine. E' stato insignito di numerosi premi, tra cui la Robert Capa Gold Medal (2006), lo Eugene Smith Grant in Humanistic Photography (2006), l' Olivier Rebbot for Best Feature Photography (2004), la Leica Medal of Excellence (2001), otto World Press Photo tra il 1995 e il 2007.
È appena tornato dal Cairo, dove è stato testimone dei movimenti tellurici che hanno portato il paese a un nuovo assetto politico, ma alla domanda sei un reporter d'assalto replica:
Sono tutto fuorché questo. Io sono un fotografo dei tempi lunghi, mi interessa la dimensione umanistica di quello che faccio, il racconto dell'uomo, e questo richiede un rapporto, anche dilatato, con i soggetti, i luoghi... Ovviamente la componente "avvenimenti", la Storia che si muove, è un nodo importantissimo e inevitabile, ma è uno spunto iniziale, io seguo una chiave umanistica, antropologica.
Come nasce Paolo Pellegrin?
Studiavo a Roma, architettura alla Sapienza, ero al terzo anno, ma non ero convinto, così ho deciso di cercare la mia strada altrove. E la fotografia mi interessava, da sempre. In realtà avrei voluto studiare antropologia, ma dopo architettura non mi andava di iscrivermi a un'altra facoltà. Mi sembrava che la fotografia potesse essere un modo per investigare sul mondo, sull'uomo, insomma, su me stesso. Questi ultimi 15, 20 anni, sono anni di grande complessità, estrema accelerazione, il mondo si è trasformato e si trasforma a una velocità impressionante. E noi abbiamo la fortuna di vivere una storia accelerata. Chiaramente anche con tutta una serie di grossi, enormi problemi. L'11 settembre è stato uno spartiacque.
Ma l'occhio di un fotografo nota dei cambiamenti nelle sue immagini? Si adatta a questa accelerazione?
Nel mio caso, il processo, casomai, è l'opposto... La fotografia è interessante perché è la traduzione immediata, istantanea, di chi è il fotografo in quel momento... L'atto del fotografare, che è una cosa così semplice, in realtà racchiude una cosa complessa: ogni volta che scattiamo, diamo voce a un pensiero, a un'opinione e trasmettiamo chi siamo in quel momento. E io ora so che la mia voce, la mia fotografia, sta diventando più asciutta, si sfronda.
Perché la tua mostra si chiama Dies irae?
Il titolo non l'ho scelto io, ma l'ho abbracciato perché penso che in questi anni, nel post 11 settembre, in questo mondo cambiato, e cambiato da noi, ci poteva stare un'idea di furia, o di ira.
Fellini, quando gli chiesero quale fosse tra i suoi il film quello che gli era piaciuto di più rispose che era come chiedere a un padre di scegliere il preferito tra i suoi figli.
Credo che la paternità dell'autore sia solo iniziale. Io come fotografo mi ritengo la scintilla, l'incrocio di cose che hanno creato delle immagini che poi hanno vita propria e quasi non mi appartengono più. Comunque, non ragiono in termini di singole immagini, ciò che mi interessa è un corpus di lavoro, come per esempio quello sulla Palestina: lì c'è la guerra in Libano nel 2006, ci sono le varie incursioni israeliane in Cisgiordania o a Gaza… La mia idea, insomma, è di una fotografia che si compone di singoli momenti che formano un insieme, un organismo che racconta la Storia. Noi abbiamo il grande privilegio e la responsabilità di essere dei testimoni.
Hai mai paura? Cioè pensi mai: mi sto esponendo ma questa foto la faccio lo stesso?
Beh, certo, i reporter si mettono sicuramente in gioco, pesantemente. Ma se decidi di assumerti il ruolo di testimone, esporsi è una condizione sine qua non, fa parte dell’equazione, complessa per altro, dello stare in certi posti. E starci vuol dire anche muoversi e riuscire a navigare e sopravvivere, ed è quindi un’enorme parte di quello che facciamo noi fotografi.
Le immagini, per quel che mi riguarda, non sono mai create. Credo di essere un testimone e in quanto tale non mi permetto mai di intervenire sulla realtà, il mio unico intervento è quello della mia presenza, è quello di esserci. Se ti metti, invece, a manipolare le situazioni, o a costruirle, viene meno la credibilità che il fotogiornalismo deve avere, secondo me. E poi, ho sempre trovato che la realtà fosse talmente complessa e ricca che non c’è bisogno di stare lì a rifarne un’altra.





domenica 22 maggio 2011
sabato 23 aprile 2011
venerdì 8 aprile 2011
lunedì 4 aprile 2011
Intervista a Annie Leibovitz realizzata dalla BBC
Biografia dell'autore:
La Leibovitz divenne famosa durante i suoi 13 anni passati come fotografa per la rivista Rolling Stone, dal 1970 al 1983. Nel 1975, occupò il ruolo di fotografa della tournee di concerti del gruppo rock dei Rolling Stones. Negli anni 1980 la Leibovitz fotografò delle celebrità per una campagna pubblicitaria internazionale della American Express. Dal 1983 ha lavorato come fotografa ritrattista per Vanity Fair. Nel 1990 viene premiata col Infinity Awards per la Applied photography. Nel 1991 ha tenuto un'esposizione alla National Portrait Gallery. Annie Leibovitz ha inoltre pubblicato cinque libri di sue fotografie, Photographs, Photographs 1970-1990, American Olympians, Women, e American Music. Nel 2008 ha realizzato il calendario Lavazza 2009.
Foto celebri di Annie Leibovitz
- John Lennon, nudo, che abbraccia Yoko Ono vestita. Scattata nel 1980 la mattina prima della morte di Lennon.
- Demi Moore, nuda con un abito maschile dipinto sul corpo.
- Whoopi Goldberg immersa in una vasca da bagno piena di latte, inquadrata dall'alto.
- Christo, completamente impacchettato, così che chi guarda deve fidarsi del fotografo sul fatto che Christo sia realmente sotto l'imballo.
- Miley Cyrus l'attrice della sitcom Hannah Montana, ritrae le Cyrus avvolta in un lenzuolo di seta con la schiena scoperta mentre guarda l'obiettivo.
- Regina Elisabetta II in occasione della sua visita negli Stati Uniti nel 2007.
- Sting nel deserto, nudo ma coperto di fango per fondersi con lo scenario.
giovedì 31 marzo 2011
intervista a Ansel Adams
Biografia dell'autore:
Famoso per le sue foto in bianco e nero di paesaggi dei parchi nazionali americani (tra cui lo Yosemite National Park) e come autore di numerosi libri di fotografia, compresa la sua trilogia di manuali di tecnica (The Camera, The Negative e The Print). È stato tra i fondatori dell'associazione Gruppo f/64 insieme ad altri maestri come Edward Weston, Willard Van Dyke e Imogen Cunningham.
Ansel Easton Adams nasce a San Francisco in una zona vicina al Golden Gate Bridge, unico figlio di Charles Hitchcock Adams, un imprenditore di successo che possedeva una compagnia di assicurazioni ed una fabbrica di prodotti chimici e Olive Bray. All'età di 4 anni, in seguito al terremoto del 1906, cade e si frattura il naso, che resterà modificato nel suo profilo per tutta la vita. Non ama gli studi scolastici e nel 1914, a dodici anni, inizia a studiare pianoforte per abbandonarlo poi all'età di vent'anni circa. Nel 1916 una vacanza con la sua famiglia, segnerà per sempre la sua vita. A 14 anni Adams conosce lo Yosemite National Park. Era stato Abraham Lincoln 52 anni prima, nel 1864 a fare della Yosemite Valley il primo luogo degli Stati Uniti d'America ad essere stato dichiarato parco nazionale. In occasione di quella prima gita gli viene regalata quella che fu la sua prima macchina fotografica, una Kodak Brownie, con cui Ansel Adams scatta le prime foto. La natura e la fotografia saranno da allora legate per sempre alla sua vita. La passione ambientalista traspare peraltro in tutte le sue opere. Aveva 17 anni quando nel 1919 si iscrive al "Sierra Club", una delle più antiche ed importanti organizzazioni ambientaliste degli U.S.A. Poco tempo prima era per fortuna guarito dall'influenza chiamata spagnola che uccise cinquanta milioni di persone in tutto il mondo. Nel 1927 Adams partecipa alla gita annuale del Club, nota come high trip. In quell'anno pubblica il suo primo portfolio: Parmelian prints of the high Sierra finanziato da Albert Bender conosciuto l'anno prima a Berkeley. Guadagnerà circa 4000 dollari. Nel 1928 all'età di 26 anni, si sposa con Virginia Best figlia del proprietario del Best's Studio che verrà ereditato dalla figlia nel 1935 alla morte del padre. Lo studio è oggi noto come Ansel Adams Gallery. Sempre nel 1928 Adams diviene fotografo ufficiale del Sierra Club, ma non lascia la sua passione ambientalista e si dedica anche ad accompagnare le persone che partecipano alle escursioni, che a volte durano settimane, come assistente del direttore di gite. Ha 30 anni nel 1932 quando fonda il Gruppo f/64 allo scopo di riunire alcuni fotografi aderenti alla straight photography: John Paul Edwards, Imogen Cunningham, Preston Holder, Consuelo Kanaga, Alma Lavenson, Sonya Noskowiak, Henry Swift, Willard Van Dyke, ed Edward Weston. La f/64 rimandava alla minima apertura del diaframma dell'obiettivo che avrebbe consentito la massima profondità di campo e la maggiore accuratezza dei dettagli. Nel 1934 entra nel Consiglio di Amministrazione del Sierra Club e ne resterà membro, insieme alla moglie per tutta la vita. È autore di molte prime scalate sulla Sierra Nevada. Le sue fotografie sono una testimonianza di come fossero molti di questi parchi nazionali prima degli interventi umani e dei viaggi. Il suo lavoro ha sponsorizzato molti degli scopi del Sierra Club ed ha portato le tematiche ambientali alla luce.
Adams ha inventato il sistema zonale, una tecnica che permette ai fotografi di trasporre la luce che essi vedono in specifiche densità sul negativo e sulla carta ottenendo così un controllo migliore sulle fotografie finite. Adams è anche stato un pioniere dell'idea di visualizzazione (che spesso chiamava 'previsualizzazione', sebbene più tardi ammise che questo termine fosse ridondante) della stampa finita basata sui valori di luce misurati nella scena che viene fotografata.
Le fotografie nel libro a tiratura limitata Sierra Nevada: The John Muir Trail, insieme alla sua testimonianza, hanno contribuito ad assicurare la designazione del Sequoia and Kings Canyon come parco nazionale nel 1940.
Adams fu addolorato dall'internamento dei nippo-americani che seguì l'attacco di Pearl Harbor. Gli venne permesso di visitare il Manzanar War Relocation Center nella Owens Valley, ai piedi del monte Williamson. Il saggio fotografico dapprima apparve in una mostra in un museo d'arte moderna, e più tardi fu pubblicato col titolo Born Free and Equal: Photographs of the loyal Japanese-Americans at Manzanar Relocation Center, Inyo County, California (Nati liberi e uguali: fotografie dei leali nippo-americani al centro di dislocamento Manzanar, Contea di Inyo, California).
Adams fu il beneficiario di tre borse di studio Guggenheim durante la sua carriera. Fu eletto nel 1966 membro dell'American Academy of Arts and Sciences. Nel 1980 il presidente Jimmy Carter lo insignì della medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile del suo paese.
I diritti di pubblicazione per le fotografie di Adams sono tenuti dagli amministratori dell'Ansel Adams Publishing Rights Trust.
Il Minarets Wilderness nell'Inyo National Forest venne ribattezzato Ansel Adams Wilderness nel 1984 in suo onore. Il monte Ansel Adams, una cima di 3.584 metri nella Sierra Nevada, prese il nome da lui nel 1986.
venerdì 25 marzo 2011
Intervista a Henri Cartier-Bresson
Biografia dell'autore:
Dopo gli studi giovanili, Henri fu presto attratto dalla pittura, grazie allo zio Louis, e comincerà i suoi studi con Jaques-Emile Blanche e André Lhote, che lo inizieranno all'ambiente dei surrealisti francesi, inizialmente disinteressato alla fotografia.
Solo più tardi, nel 1930, durante un viaggio in Costa d'Avorio, per via della sua continua ricerca di immortalare la realtà, comprò la sua prima macchina fotografica, una Leica 35mm con lente 50mm che l'accompagnerà per molti anni.
Nel 1931 lavora nel cinema come assistente del regista francese Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to life.
Intanto, nel 1934, conosce David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956). Diventano subito ottimi amici, hanno molto in comune culturalmente. Sarà Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa.
Durante la Seconda guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica.
Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film Le Retour, documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra "postuma", credendolo morto in guerra: si mette in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell'esposizione, inaugurata il 1947. Negli anni successivi è negli Stati Uniti, dove fotografa per Harper's Bazaar.
Nel 1947 fonda, insieme a Robert Capa e a David Seymour, la famosa Agenzia Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale.
La fotografia porta Henri in molti angoli del pianeta: Cina, Messico, Canada, Stati Uniti, Cuba, India, Giappone, Unione Sovietica e molti altri paesi. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell'Unione Sovietica del dopo-guerra. Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura, dichiarando: "In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l'unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà".
Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage. Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Muore a Céreste, (Alpes-de-Haute-Provence, Francia) il 3 agosto 2004, all'età di 95 anni.
Nella sua carriera ha anche ritratto personalità importanti in tutti i campi; Balthus, Albert Camus, Truman Capote, Coco Chanel, Marcel Duchamp, William Faulkner, Mahatma Gandhi, John Huston, Martin Luther King, Henri Matisse, Marilyn Monroe, Richard Nixon, Robert Oppenheimer, Ezra Pound, Jean-Paul Sartre ed Igor Stravinsky. Dalla morte di Cartier-Bresson, per evitare sfruttamenti commerciali slegati dal valore artistico delle opere, la Fondazione non autorizza più alcuna stampa di fotografie del maestro, offrendo però un servizio di autenticazione di eventuali stampe in circolazione in gallerie o antiquari. In una lettera datata 30 ottobre 2000, per evitare il commercio di stampe o lo smercio di copie sottratte, lo stesso fotografo dichiarava: “Io sottoscritto Henri Cartier-Bresson, domiciliato al 198 di rue de Rivoli, Parigi, dichiaro quanto segue. Ho sempre firmato e dedicato le stampe di mie fotografie a coloro ai quali intendevo donarle; tutte le altre stampe che recano solamente timbri o etichette «Magnum Photos» o il mio nome «Henri Cartier-Bresson» sono di mia proprietà. Tutti coloro che detenessero queste stampe non potranno invocare la buona fede". In linea con lo spirito che scaturisce da questo scritto, nel 1985 fece dono al Comune di Tricarico, città natale del poeta Rocco Scotellaro, di 26 fotografie che oggi costituiscono il primo e fondamentale nucleo di opere che saranno esposte nel museo delle arti figurative di quella cittadina.
giovedì 17 marzo 2011
Intervista della BBC a Diane Arbus
Iniziamo questa carrellata di grandi nomi con Diane Arbus.
La biografie dell'artista:
Diane Arbus (1923 - 1971) proveniva da una famiglia agiata, di origini ebraico-russe, nella quale era messa in ombra dal fratello maggiore, il poeta Howard Nemerov. All'età di quattordici anni si innamorò di Allan Arbus, e appena compì diciotto anni lo sposò nonostante il parere contrario dei suoi genitori. Alcuni anni dopo Allan cominciò a lavorare come fotografo per l'US Army, insegnando di notte a Diane quello che lui aveva imparato di giorno; imparò la fotografia anche attraverso le lezioni di Lisette Model. Per vent'anni condusse uno studio di fotografia di moda di successo insieme al marito, prima della loro separazione avvenuta nel 1959. Ebbero due figlie, la fotografa Amy Arbus e la scrittrice e art director Doon Arbus.
Le opere per cui la Arbus è oggi maggiormente conosciuta sono le sue fotografie che ritraggono outsider, come travestiti, nani, giganti e prostitute, così come normali cittadini in pose e atteggiamenti che trasmettono la sgradevole sensazione che qualcosa è seriamente sbagliato. Il suo approccio voyeuristico, tuttavia, non sminuiva i suoi soggetti, come avrebbe potuto avvenire facilmente. Nella maggior parte dei suoi ritratti i soggetti si trovano nel proprio ambiente, apparentemente a proprio agio; invece, è lo spettatore che è messo a disagio dall'accettazione del soggetto del proprio essere "freak". Negli anni sessanta ricevette due borse di studio dalla Fondazione Guggenheim e insegnò fotografia in diverse scuole a New York e Amherst negli ultimi anni della propria vita. In seguito a sempre più frequenti crisi depressive, si tolse la vita il 26 luglio 1971.
La Arbus prediligeva le macchine fotografiche reflex medio formato che davano foto quadrate. Molte sue fotografie sono apparse su riviste come Harper's Bazaar, Esquire e The Sunday Times. Ha studiato per molto tempo con l'amico Richard Avedon.
Fotografie famose
- Child with Toy Hand Grenade in Central Park, New York, (1962) - Un ragazzino magrissimo con le braccia lungo il corpo ma irrigidite. Nella mano destra regge una granata giocattolo, mentre la sinistra imita un artiglio. Il volto potrebbe essere descritto come maniacale. La Arbus catturò questa espressione facendo stare fermo il ragazzino, mentre lei continuava a muoverglisi attorno sostenendo che stava cercando l'angolo giusto. Dopo poco il ragazzo divenne impaziente e le disse di spicciarsi a fotografare, creando l'espressione che potrebbe sembrar comunicare che il ragazzo ha in mente la violenza, mentre stringe saldamente in mano la granata giocattolo;tutto sommato era un comune ragazzo intenzionato a giocare con la camera della Arbus
- Identical Twins, (1967) - Una foto di due giovani sorelle gemelle, una a fianco all'altra, vestite in velluto. Una leggermente sorridente e l'altra leggermente imbronciata sono la caratteristica bipolare della fotografa stessa.
- Jewish Giant at Home with His Parents in The Bronx, NY, 1970 - Una foto di Eddie Carmel, il "Gigante Ebreo", ritratto nel suo appartamento assieme ai genitori molto più bassi di lui. Alcuni interpretano come la foto mostri che il corpo inusuale di quest'uomo non gli abbia impedito di avere una vita familiare normale e felice. Altri vedono una certa rigidità nella postura dei genitori e trovano che mostri un distacco tra Eddie e la sua famiglia, forse un'indicazione di disappunto o di tristezza per il suo strano aspetto e per la sua vita prevedibilmente breve; altri vedono nell'espressione della signora Carmel che guarda suo figlio la sorpresa, come se lo avesse incontrato per la prima volta.
martedì 15 marzo 2011
Intervista a Gianni Berengo Gardin: la fotografia a testimonianza della storia
Biografia dell'autore:
Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e ha iniziato dal 1954 ad occuparsi di fotografia. Inizia la sua carriera di fotoreporter, nel 1965 quando lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L'Espresso, Time, Stern.
Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall'architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d'immagine.
Molte delle più incisive fotografie pubblicitarie utilizzate negli ultimi cinquant'anni provengono dal suo archivio. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. La sua amicizia con l'architetto Carlo Scarpa gli ha permesso di documentare alcune opere di quest'ultimo, come la tomba Brion vicino Treviso.
Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre che hanno celebrato il suo lavoro e la sua creatività in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi, le gallerie FNAC.
L'8 Settembre 1981 si trova a Ulassai per documentare l'operazione Legarsi alla montagna di Maria Lai, un'operazione che segnerà negli anni a seguire un importante spartiacque dell'arte contemporanea, alcune fotografie sue di quell'evento sono parte integrante della collezione della Fondazione Stazione dell'arte di Ulassai.
Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell'Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all'Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l'Oskar Barnack - Camera Group Award.
Gianni Berengo Gardin ha pubblicato 210 libri fotografici. Tra gli altri, Venise des Saisons, Morire di classe (con Carla Cerati), L'occhio come mestiere, Toscana, Francia, Gran Bretagna, Roma, Dentro le case, Dentro il lavoro, Scanno, Il Mondo, Un paese vent'anni dopo (con Cesare Zavattini), In treno attraverso l'Italia (con Ferdinando Scianna e Roberto Koch), fino al grande libro antologico dal titolo Gianni Berengo Gardin Fotografo (1990), Reportage in Sardegna 1968/2006 (Imago edizioni 2006).
Qualche anno fa ha dedicato il suo lavoro alle comunità di zingari in Italia e il libro Disperata Allegria - vivere da Zingari a Firenze ha vinto nel 1994 l'Oscar Barnack Award. Il suo ultimo libro è Italiani (Federico Motta Editore, 1999).
Le sue ultime mostre sono state a New York (1999 - Leica Gallery) e in Germania (2000). Nel 2005 la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche gli ha dedicato una monografia della collana "Grandi Autori". Nel novembre 2007, sempre la FIAF, ha editato la monografia "L'Abruzzo dei fotografi", che ospita (anche in copertina) dieci sue immagini dell'Aquila ed un'intervista.
Nel dicembre 2007, in occasione del Lucca Digital Photo Festival, ha esposto a Lucca il suo ultimo lavoro "Aiutiamo la Casa del Sole".
Gianni Berengo Gardin vive ora a Milano ed è membro dell'importante agenzia fotografica Contrasto dal 1990 ed è inoltre membro del circolo "La gondola" di Venezia.
Il 18 ottobre 2008 gli è stato assegnato il premio Lucie Award alla carriera, quale massimo riconoscimento per i suoi meriti fotografici, mentre una personale in suo onore è stata allestita nell'autunno dello stesso anno a Palazzo Pichi Sforza di Sansepolcro (AR). Di notevole spessore i suoi scatti nello studio bolognese di Via Fondazza del pittore ed incisore Giorgio Morandi, ripubblicati in una raccolta uscita nel Gennaio 2009 a cura della casa editrice Charta. A Maggio 2009 all’Università Statale di Milano gli è stata conferita la Laurea honoris causa in Storia e Critica dell’Arte. Sempre nel 2009 pubblica con Allemandi & C. "Reportrait. Incursioni di un reporter nel mondo della cultura" (con Flavio Arensi), in cui presenta oltre duecento ritratti inediti di artisti, intellettuali, scrittori, architetti. Per la prima volta, dunque, non la gente comune ma i personaggi, da Warhol a Zavattini, da Pasolini a Piano incontrati nella sua lunga carriera di reporter. Nel Maggio 2009 la Mostra omonima è ospitata ad Orta S.Giulio (No), sul Lago d'Orta. Sempre Allemandi pubblica un libro dedicato dal fotografo al lavoro di Mimmo Paladino.
Lunedì 17 agosto 2009 a Porretta Terme è stata inaugurata la mostra fotografica “La Porrettana in cinque amici”. Le immagini ritraggono la prima “strada ferrata” che attraversò l’Appennino collegando Bologna con Pistoia com'è oggi, soffermandosi lungamente sui luoghi che la ferrovia Porrettana attraversa e sulle persone che lì vivono. Con lui espongono Mosè Norberto Franchi, Davide Ortombina, Donatella Pollini, Massimo Zanti. Dal lavoro è stato tratto anche un catalogo a tiratura limitata. Ha lavorato in Italia e all'estero trascorrendo lunghi periodi a Roma, Parigi e in Svizzera.
mercoledì 9 marzo 2011
I Fotografi Italiani
lunedì 28 febbraio 2011
venerdì 18 febbraio 2011
giovedì 17 febbraio 2011
martedì 15 febbraio 2011
sabato 12 febbraio 2011
Intervista a Gabriele Basilico
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Biografia dell'autore:
Fonte: fotologie.it
domenica 30 gennaio 2011
Intervista a Dorian Cara
Chi è Dorian Cara?
Dorian Cara è storico e critico d’arte, specializzato in legislazione dei beni culturali, e si occupa da anni di progetti di catalogazione, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano ed estero.
Ha scritto per diverse testate giornalistiche; ha pubblicato alcuni contributi sulla storia dell'arte italiana, antica e contemporanea, e ha ideato e curato diverse mostre d’arte contemporanea in Lombardia tra il 2000 e il 2010.
Dorian, sei nato con la vocazione di fare il fotografo?
La vocazione per la fotografia è innegabile, e un grande contributo è stato dato da due fattori: il primo, la circolazione dell'immagine in una casa dove il padre critico d'arte ha sempre ospitato artisti e al contempo accumulato centinaia di volumi d'arte. Entrambe gli aspetti, per forza di cose, hanno contribuito ad alimentare continuamente fantasie, immagini, cromie, divenendo palestra nel cogliere immagini, i loro tagli diversi, lo scrutare la realtà riprodotta, oltre ai progetti e ai costrutti nati attorno alla fotografia. Gli studi storico artistici, e soprattutto, i diversi numerosi viaggi hanno contribuito al resto, ovvero a far si che l'immagine sia cardine e mediazione della realtà, senza mai stravolgerla. anzi valorizzandola attraverso meandri più diversi che l'iride umano riesce a cogliere ed evidenziare.
Anche l'esperienza di coordinatore editoriale per diverse case editrici ha dato notevole sensibilità e più sensibile percezione per lo strumento di comunicazione qual è la foto.
Hai un genere fotografico preferito? E perchè?
Non voglio definire la preferenza di un genere esclusivamente in chiave tecnica (paesaggi, ritratti, etc.), preferisco, invece, considerare il taglio fotografico come strumento cardine per il progetto fotografico. Prediligo, comunque, di gran lunga l'inquadratura stretta, il particolare.
Questa peculiarità, riletta in chiave progettuale, per meglio intenderci, mi aiuta a costruire, ormai da anni, alla costruzione di due progetti che mi stanno a cuore e che spero prima o poi di esporre: la genesi della materia e le dinamiche delle linee. L'aiuto della luce e dei suoi giochi di controluce, il ritmo e i movimenti dei soggetti permettono di rendere la realtà più affascinante ed inaspettata.
Tra i tuoi lavori ce n’è qualcuno a cui ti senti particolarmente legato?
Tra i miei lavori, indubbiamente, sono legato, anche per l'esperienza grande connessa, allo studio della materia primigenia e pura dell'Alaska. In quella terra lontana, la forza della natura permette di respirare a pieni polmoni (anche fisicamente) l'origine della natura e di noi stessi e le forme che compongono quell'ultima frontiera sono, in assoluto, garanzia di purezza e di forza a cui cedere con gioia. L'esperienza fotografica alaskana, oltre al mero scatto, ma anche grazie ad esso, ritengo che sia stato fondamentale auto-analisi e presa di coscienza di ciò che stiamo dissolvendo.
Che consiglio daresti a chi vuole diventare fotografo professionista in Italia?
Non essendo un fotografo professionista, ma collaborando con molti di loro per i lavori legati alla mia professione di storico d'arte e coordinatore editoriale, mi sento di dire, e lo dico anche a me stesso, che l'umiltà (ma questo vale per qualsiasi professione) è senz'altro un elemento imprescindibile che vale sempre, oltre che per il contatto con i potenziali clienti, anche nei confronti dei soggetti e dei progetti fotografici a cui si aspira. Oltre a ciò, non bisogna demordere mai, mettersi in confronto con chi è più bravo, perchè si può imparare moltissimo, e riuscire a dare quel meglio che tante volte in noi è sopito, non manifesto, e che è fondamentale tirare fuori per donarlo a tutti: vero presupposto della cultura.
A cosa stai lavorando attualmente?
Attualmente, oltre alla organizzazione della mia mostra fotografica che è stata inaugurata il 15 gennaio 2011 presso la Casa delle Culture del Mondo, spazio della Provincia di Milano di Via Natta 11 (M1 Lampugnano), sto impaginando una serie di volumi relativi ai miei progetti sopracitati (materia, linee) e ai viaggi che ho realizzato in questi anni in diversi luoghi del mondo.