In mostra a Palazzo Reale le opere del fotografo svizzero Robert Frank provenienti dal Fotomuseum Winterthur e dal Fotostiftung Schweiz di Zurigo fino al 18 gennaio 2009.
L’evento, curato da Martin Gasser, Thomas, Seelig, Urs Stahel e Enrica Viganò, si presenta come un’importante monografica dedicata all’opera di Robert Frank, il cui sguardo ha contribuito a sconvolgere la grammatica della fotografia nella seconda metà del Novecento.
Robert Frank è nato nel 1924 a Zurigo ed è fotografo e regista fra i più famosi a livello internazionale. Inizia giovanissimo come assistente fotografo in Svizzera, ma già nel 1947 sbarca a New York dove inizia la sua fulminea carriera. Primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale della Fondazione Guggenheim di New York, viaggia attraverso gli Stati Uniti d’America dal 1955 al 1956 accompagnato da personaggi del calibro di Jack Kerouac, che scriverà l’introduzione per il volume The Americans (Les Américains), il libro di Frank destinato a stravolgere le regole del linguaggio fotografico e al contempo a scardinare la consuetudine del più illusorio luogo comune: l’american dream.
Nelle sue immagini, dal forte sapore di documentazione sociale ed allo stesso tempo di sperimentazione formale, ritroviamo una visione più intima della quotidianità di un paese, gli Stati Uniti d’America, che Frank descrive come fino ad allora nessuno aveva mai saputo fare, una riflessione sulla realtà, insieme dura e ironica. Frank si guardava intorno attraverso il suo occhio disincantato e la sua originaria cultura europea, scattava immagini nervose, desolate, ironiche, autentiche.
«Il genio dell’artista» afferma «consiste nel guardare il mondo che condivide con noi. L’illusione della fotografia è tutt’uno con la realtà del nostro mondo quotidiano. Le fotografie parlano di fotografia, dell’artista, delle sue immagini, di noi. Come tutta la grande arte che racconta la condizione umana, porta in sé l’identità dell’artista. Non sono vedute anonime. Non sono posti e gente anonimi. Sono le parole del poeta, sontuosamente ambigue e perfettamente bilanciate – declamate, incorniciate sul muro, tenute in mano, stampate sulla pagina»
La pubblicazione di The Americans– nel 1958 a Parigi per i tipi di Delpire e l’anno successivo a New York con la casa editrice Grove Press – donò a Robert Frank una fama controversa e immediata. Tuttavia il suo carattere schivo, che lo teneva lontano dai riflettori, e l’insaziabile desiderio di sperimentare nuovi cammini della comunicazione visiva, lo portarono a cimentarsi con il cinema, nelle sue forme più underground.
E' questo il periodo in cui, circondato dagli amici della Beat Generation, spesso attori nelle pellicole più improvvisate, Frank girò dal 1959 al 2002 venticinque film e video di varia lunghezza, alcuni su temi personali come Conversation in Vermont (1969) incentrato sul suo rapporto con i figli, altri su argomenti commissionati, come Cocksucker Blues (1972) che documenta la turnée dei Rolling Stone.
La necessità di esprimere se stesso lo riporterà a prendere in mano la macchina fotografica. «Dal 1972, nel tempo che avanza tra un film e un progetto di film, ho ripreso a fotografare. In bianco e nero e a colori. A volte metto molte immagini insieme per farne una. Parlo delle mie speranze, della mia piccola speranza, della mia gioia. Quando posso ci metto anche un pizzico di humor. Distruggo gli elementi descrittivi nelle foto così posso mostrare come sono io, me stesso. Prima che i negativi siano fissati ci graffio sopra delle parole: zuppa, forza, fiducia cieca… Cerco di essere onesto. A volte è troppo triste.»
All’interno del percorso espositivo, oltra ad un'ottantina di scatti, sarà possibile assistere alla proiezioni di alcuni dei lungometraggi dell’artista come Pull My Daisy (1959) e About Me: A Musical (1971).
Fonte: Comune di Milano