«Ogni fotografia è l'ultimo testimone, se non l'ultima testimonianza di un momento che altrimenti sarebbe perduto per sempre»
Sarah Moon
Marielle nasce nell'Europa sconvolta dalla seconda guerra mondiale. Suo padre è inglese, sua madre francese. L'occupazione nazista della Francia spinge la famiglia, di origine ebraica, a cercare riparo in Inghilterra dove Marielle cresce studiando disegno.
Negli anni '60 è una ventenne che vive dove tutti i suoi coetanei vorrebbero: a Londra, capitale di tendenza, dove tutto può accadere; vi convivono i rockers, i citymen in bombetta, la regina, i capelloni figli dei fiori, le ragazze in minigonna… Ma soprattutto è lì che nasce la nuova musica, la nuova moda ed emerge un nuovo segmento sociale: i giovani. Marielle diventa uno dei nuovi volti dell'alta moda degli anni '60, i favolosi Sixties: nella swinging London alla donna sofisticata si contrappone la ragazza della porta accanto e Marielle assume i panni di questa nuova idea di femminilità.
Sul finire del decennio, preso il nome d'arte Sarah Moon, decide di passare dall'altra parte dell'obiettivo: inizia la sua vita di fotografa, pur rimanendo strettamente legata all'ambito della moda.
Anche se affascinata dalla fotografia di Guy Bourdin, specialmente per le situazioni narrative che il francese riesce ad allestire, sceglie come riferimento una fotografia d'altri tempi: i nudi fotografati da Eugene Durieu per Delacroix, i ritratti evanescenti di Julia Margareth Cameron, il pittorialismo del XIX secolo, l'immagine della donna codificata dal barone Adolf De Meyer, considerato il primo fotografo di moda, fino alla fotografia espressionista tedesca degli anni Trenta.
Sarah Moon sceglie di dare della donna una visione irraggiungibile, fantasmatica, supernaturale e postmoderna per le reminiscenze di cui è portatrice, spesso non perfettamente definita nei contorni: come una instabile presenza di memoria.
I suoi temi ricorrenti sono il ricordo, la nostalgia dell'infanzia, la morte come distacco e distanza, la femminilità più profonda e la solitudine. Le sue fotografie sono vere e proprie visioni, anche se costruite in studio.
Colloca le sue fantasie in uno spazio-tempo irreale, quasi volesse annullare la realtà di ciò che ha di fronte per ricrearla in una zona d'ombra senza confini.
Tecnicamente ottiene tutto questo con il flou, le pose lunghe o le doppie esposizioni, le sovraesposizioni che dilatano la luce.
La fotografia di Sarah Moon, così diversa dalla nuova fotografia di moda, orientata al mondo pop o optical, è presto inconfondibile.
Già nel 1967 realizza le campagne pubblicitarie del marchio Cacharel diventando l'interprete di uno stile neoromantico e agreste. La sua visione fotografica infatti ben si presta alle declinazioni delle linee guida di Cacharel e il sodalizio si protrarrà per diversi anni. Nel 1979 le sarà assegnato il Premio Lion d'or per i film pubblicitari nell'ambito del Festival di Cannes proprio grazie a uno spot per Cacharel. A questo, nel corso degli anni, seguiranno altri numerosi premi e riconoscimenti.
Contemporaneamente lavora per molti periodici tra cui «Marie Claire», «Harper's Bazaar», «Nova», «Vogue», «Elle» e le vengono assegnate campagne stampa pubblicitarie di noti marchi d'abbigliamento.
Nel 1972 è l'autrice del Calendario Pirelli; è la prima volta che l'azienda sceglie una fotografa per il calendario feticcio ultra-maschilista. Sarah Moon affronta l'incarico senza tradire la sua visione “femminile” della donna, che presenta di mese in mese come un'apparizione fuori dal tempo, avvolta da veli e immagini soffuse che ricordano i pittorialisti di inizio secolo e i loro autochrome. La sua donna vive in un mondo a parte rispetto al mondo pop e urlato che si va sempre più affermando nel decennio '70, eppure il suo calendario Pirelli rimane uno dei più noti dell'intera collezione.
Nel corso degli anni la sua fotografia diventa più sofisticata e di ricerca, le sue donne sono visioni di colore e luce, sempre più un attimo colto misteriosamente dallo scatto fotografico. È lei stessa a dichiarare più volte che vuole ritrarre l'inconscio, di non sapere esattamente cosa fotograferà, perché quello che cerca di fermare sulla pellicola è la pura emozione di un momento che è impossibile prevedere, calcolare, a volte ricordare: sono coincidenze irripetibili, anche se essendo fotografie di moda sono allo stesso tempo immagini minuziosamente create e cercate per ottenere delle emozioni visive.
Ed ecco, in un attimo qualcosa succede: così è stato per il gabbiano entrato improvvisamente nel suo paesaggio, o il risveglio al mattino con il giardino coperto di neve; è lo stupore che ci coglie quando lo sguardo e il sentimento si incontrano.
Sarah capisce che il limite della fotografia di moda non è il suo e progressivamente, dal 1980, se ne allontana per dedicarsi sempre più alla ricerca; su questo indubbiamente inciderà la morte del suo assistente di laboratorio Mike Yavel, avvenuta nel 1985, con cui aveva creato un binomio inscindibile. Proprio la riflessione su questo distacco e sull'assenza/presenza la porta a fotografare incamminandosi per Parigi, cercando piccoli segni nella città. Una città mai riconoscibile per un luogo, ma sempre per un'atmosfera: l'angolo di un bistrot, il viale di un giardino, fabbriche abbandonate, feste di strada ormai finite. Mai reali, mai definiti i suoi paesaggi sono sensazione ed emozione, i suoi personaggi irreali spesso prendono le sembianze di animali.
Ugualmente è affascinata dal processo fotografico, dalla degradazione della fotografia stessa, dai segni che il tempo può lasciare sul negativo, sulla stampa rendendola ancora più un oggetto non definito dal tempo. La sua fotografia si avvicina sempre più alla pittura, sia nel bianco e nero sia nel colore.
Inizia ad esporre le sue opere in diverse sedi e nel 1990 firma come regista il lungometraggio Mississipi One; una storia sospesa nel tempo, un frammento della vita di un adulto e una bambina dove sono più le domande che le risposte, provocando una strettissima relazione tra lo spettatore, il narratore e il racconto in sé.
Come cineasta Sarah Moon unisce le sue esperienze artistiche creando vere e proprie poesie visive.
Altre pellicole sono ispirate alle favole più note, come La piccola fiammiferaria o Il soldatino di piombo. Sono corti in cui unisce video, foto, suono, testi, realizzati precedentemente o per il progetto e uniti dalla sua voce narrante.
Firmerà anche video dedicati ai grandi nomi della fotografia.
Nel 2003 la Maison Européenne de la Photographie le dedica un'antologica che in seguito sarà ospitata nelle principali città del mondo.
Vive e lavora a Parigi.
I suoi lavori sono stati raccolti in numerose pubblicazioni editate in più lingue e presentati in numerose esposizioni personali e collettive.
Qualche immagine:
Sarah Moon
Marielle nasce nell'Europa sconvolta dalla seconda guerra mondiale. Suo padre è inglese, sua madre francese. L'occupazione nazista della Francia spinge la famiglia, di origine ebraica, a cercare riparo in Inghilterra dove Marielle cresce studiando disegno.
Negli anni '60 è una ventenne che vive dove tutti i suoi coetanei vorrebbero: a Londra, capitale di tendenza, dove tutto può accadere; vi convivono i rockers, i citymen in bombetta, la regina, i capelloni figli dei fiori, le ragazze in minigonna… Ma soprattutto è lì che nasce la nuova musica, la nuova moda ed emerge un nuovo segmento sociale: i giovani. Marielle diventa uno dei nuovi volti dell'alta moda degli anni '60, i favolosi Sixties: nella swinging London alla donna sofisticata si contrappone la ragazza della porta accanto e Marielle assume i panni di questa nuova idea di femminilità.
Sul finire del decennio, preso il nome d'arte Sarah Moon, decide di passare dall'altra parte dell'obiettivo: inizia la sua vita di fotografa, pur rimanendo strettamente legata all'ambito della moda.
Anche se affascinata dalla fotografia di Guy Bourdin, specialmente per le situazioni narrative che il francese riesce ad allestire, sceglie come riferimento una fotografia d'altri tempi: i nudi fotografati da Eugene Durieu per Delacroix, i ritratti evanescenti di Julia Margareth Cameron, il pittorialismo del XIX secolo, l'immagine della donna codificata dal barone Adolf De Meyer, considerato il primo fotografo di moda, fino alla fotografia espressionista tedesca degli anni Trenta.
Sarah Moon sceglie di dare della donna una visione irraggiungibile, fantasmatica, supernaturale e postmoderna per le reminiscenze di cui è portatrice, spesso non perfettamente definita nei contorni: come una instabile presenza di memoria.
I suoi temi ricorrenti sono il ricordo, la nostalgia dell'infanzia, la morte come distacco e distanza, la femminilità più profonda e la solitudine. Le sue fotografie sono vere e proprie visioni, anche se costruite in studio.
Colloca le sue fantasie in uno spazio-tempo irreale, quasi volesse annullare la realtà di ciò che ha di fronte per ricrearla in una zona d'ombra senza confini.
Tecnicamente ottiene tutto questo con il flou, le pose lunghe o le doppie esposizioni, le sovraesposizioni che dilatano la luce.
La fotografia di Sarah Moon, così diversa dalla nuova fotografia di moda, orientata al mondo pop o optical, è presto inconfondibile.
Già nel 1967 realizza le campagne pubblicitarie del marchio Cacharel diventando l'interprete di uno stile neoromantico e agreste. La sua visione fotografica infatti ben si presta alle declinazioni delle linee guida di Cacharel e il sodalizio si protrarrà per diversi anni. Nel 1979 le sarà assegnato il Premio Lion d'or per i film pubblicitari nell'ambito del Festival di Cannes proprio grazie a uno spot per Cacharel. A questo, nel corso degli anni, seguiranno altri numerosi premi e riconoscimenti.
Contemporaneamente lavora per molti periodici tra cui «Marie Claire», «Harper's Bazaar», «Nova», «Vogue», «Elle» e le vengono assegnate campagne stampa pubblicitarie di noti marchi d'abbigliamento.
Nel 1972 è l'autrice del Calendario Pirelli; è la prima volta che l'azienda sceglie una fotografa per il calendario feticcio ultra-maschilista. Sarah Moon affronta l'incarico senza tradire la sua visione “femminile” della donna, che presenta di mese in mese come un'apparizione fuori dal tempo, avvolta da veli e immagini soffuse che ricordano i pittorialisti di inizio secolo e i loro autochrome. La sua donna vive in un mondo a parte rispetto al mondo pop e urlato che si va sempre più affermando nel decennio '70, eppure il suo calendario Pirelli rimane uno dei più noti dell'intera collezione.
Nel corso degli anni la sua fotografia diventa più sofisticata e di ricerca, le sue donne sono visioni di colore e luce, sempre più un attimo colto misteriosamente dallo scatto fotografico. È lei stessa a dichiarare più volte che vuole ritrarre l'inconscio, di non sapere esattamente cosa fotograferà, perché quello che cerca di fermare sulla pellicola è la pura emozione di un momento che è impossibile prevedere, calcolare, a volte ricordare: sono coincidenze irripetibili, anche se essendo fotografie di moda sono allo stesso tempo immagini minuziosamente create e cercate per ottenere delle emozioni visive.
Ed ecco, in un attimo qualcosa succede: così è stato per il gabbiano entrato improvvisamente nel suo paesaggio, o il risveglio al mattino con il giardino coperto di neve; è lo stupore che ci coglie quando lo sguardo e il sentimento si incontrano.
Sarah capisce che il limite della fotografia di moda non è il suo e progressivamente, dal 1980, se ne allontana per dedicarsi sempre più alla ricerca; su questo indubbiamente inciderà la morte del suo assistente di laboratorio Mike Yavel, avvenuta nel 1985, con cui aveva creato un binomio inscindibile. Proprio la riflessione su questo distacco e sull'assenza/presenza la porta a fotografare incamminandosi per Parigi, cercando piccoli segni nella città. Una città mai riconoscibile per un luogo, ma sempre per un'atmosfera: l'angolo di un bistrot, il viale di un giardino, fabbriche abbandonate, feste di strada ormai finite. Mai reali, mai definiti i suoi paesaggi sono sensazione ed emozione, i suoi personaggi irreali spesso prendono le sembianze di animali.
Ugualmente è affascinata dal processo fotografico, dalla degradazione della fotografia stessa, dai segni che il tempo può lasciare sul negativo, sulla stampa rendendola ancora più un oggetto non definito dal tempo. La sua fotografia si avvicina sempre più alla pittura, sia nel bianco e nero sia nel colore.
Inizia ad esporre le sue opere in diverse sedi e nel 1990 firma come regista il lungometraggio Mississipi One; una storia sospesa nel tempo, un frammento della vita di un adulto e una bambina dove sono più le domande che le risposte, provocando una strettissima relazione tra lo spettatore, il narratore e il racconto in sé.
Come cineasta Sarah Moon unisce le sue esperienze artistiche creando vere e proprie poesie visive.
Altre pellicole sono ispirate alle favole più note, come La piccola fiammiferaria o Il soldatino di piombo. Sono corti in cui unisce video, foto, suono, testi, realizzati precedentemente o per il progetto e uniti dalla sua voce narrante.
Firmerà anche video dedicati ai grandi nomi della fotografia.
Nel 2003 la Maison Européenne de la Photographie le dedica un'antologica che in seguito sarà ospitata nelle principali città del mondo.
Vive e lavora a Parigi.
I suoi lavori sono stati raccolti in numerose pubblicazioni editate in più lingue e presentati in numerose esposizioni personali e collettive.
Qualche immagine: