Per anni si è sentita chiedere - «soprattutto le donne» - se era stata infastidita, imbarazzata, spaventata addirittura da quegli sguardi. «Not at all. Mi stavo divertendo», dice rivendicando la sua spontaneità e il diritto di passare indisturbata in mezzo a un gruppo di uomini con la sicurezza dei suoi 23 anni, un album da disegno sotto braccio e uno scialle arancione, che conserva ancora, appoggiato su una spalla («Era caldissimo, ma lo usavo per coprirmi quando dovevo entrare in una chiesa»). «Mi sentivo Beatrice. Studiavo la Divina Commedia ed era come se a ogni passo, ogni momento, Dante dovesse vedermi e dedicarmi una poesia. Ero la sua ispirazione. Ero Beatrice». Una musa, insomma. Il contrario di quello che per anni ha sostenuto chi ha voluto trasformare “An American Girl in Italy” in un’icona del femminismo o nell’emblema del machismo italiano. «Absolutely not. Ruth era un’artista: sapeva riconoscere all’istante una bella fotografia. Nessuno era in posa. È stata scattata in meno di 30 secondi. Ma oggi siamo solo in 3 a testimoniarne la spontaneità: abbiamo 81, 83 e 86 anni» e ride come ne avesse ancora 23.
C’È un uomo che sembra urlarle qualcosa, appoggiandosi una mano sul cavallo dei pantaloni. «Non stava urlando proprio niente. Credo che ogni uomo italiano possa sentire il suono che esce dalla sua bocca semplicemente guardando la fotografia. Non è un fischio. È una specie di cinguettio che solo gli uomini italiani sanno fare. E poi quel gesto, toccarsi il cavallo dei pantaloni, è così italiano. È un portafortuna. Dio cammina con me - dice in italiano - vuol dire quello. Non è volgare e gli italiani lo sanno. Non importa spiegarglielo». E lo sa bene anche lei che un italiano se l’è sposato. «Era veneziano, ma abbiamo vissuto a Milano. Ci siamo conosciuti a New York quando avevo 29 anni e non pensavo più che mi sarei sposata. Lui era vedovo e aveva un figlio. Quando l’ho visto ho sentito il cuore che si scioglieva. Non mi ha mai fatto una vera e propria proposta di matrimonio, ma insistette perché conoscessi i genitori (in italiano ndr.). Quando vado in Italia torno sempre a trovare la famiglia a Treviso. Abitare là è stato meraviglioso. L’Italia ha tutto e la gente è adorabile, lovely».
NINALEE si è divorziata, si è risposata con un canadese, acquisendo la cittadinanza, e oggi è vedova. «Amo Toronto. Mi sono trasferita otto anni fa e ci voglio stare il più a lungo possibile. L’Italia, però, fa parte di me da sempre. Quando arrivai, nell’aprile del 1951, avevo la sensazione che avrei trovato un pezzo di me che non ero riuscita a trovare in America». Aveva solo una valigia legata con lo spago e un indefinibile senso di appartenenza. «L’Italia era dispiegata davanti a me. Non c’erano tanti turisti ancora. In cima alla Torre di Pisa ero da sola. Anche la Cappella Sistina era quasi vuota. Non mi ricordo quanto sono rimasta seduta a guardare il soffitto. Anche Assisi mi ha emozionato molto. Quando mi sono sposata la prima volta, in piazza San Marco a Venezia, mi sono dovuta battezzare e come nome ho scelto Francis in onore di San Francesco. Nel 1951 sono rimasta sei mesi. Poi sono dovuta tornare in America perché avevo finito i soldi».
NINALEE torna abbastanza spesso in Italia per andare a trovare suo figlio, che insegna all’università di Bologna, e i suoi tre nipotini, Lorenzo, Edoardo e Federico. «L’ultima volta sono tornata due anni fa. Era patetico. Ah, Mr. Berlusconi (sospira ndr.)... ecco cosa succede quando si dà troppo potere a una sola persona. Ma l’Italia ce la farà, supererà anche questa. Gli italiani non si perdono mai d’animo. La loro grande forza sono i legami familiari. La famiglia e il cibo in tavola, è questo che conta per loro. Altre priorità rispetto al Nordamerica, ma la loro forza sta tutta lì».
La sua foto è dappertutto in Italia, nei bar, nei ristoranti, anche dai calzolai. «A volte mio figlio la guarda e dice: “È mia madre quella”. Molti pensano che sia uno scherzo. Altri chiedono: “È ancora viva?”» e ride di nuovo, fasciata in un’elegantissima camicia bianca davanti a un autentico De Chirico («Era di famiglia»). Quella foto non le ha cambiato la vita. «Per me è solo un passaporto per incontrare nuove persone». Però, negli ultimi anni, gliel’ha movimentata un po’. «Quando la gente scopre che sono ancora viva mi vuole conoscere. La storia che c’è dietro a quello scatto è bella e alla gente piace ascoltare belle storie. C’è bisogno di buone notizie nel mondo».
fonte: lanazione.it