Avevo già lavorato in alcuni dei luoghi che ha raccontato Matteo Garrone, come a Scampia durante la guerra di camorra a cavallo tra il 2004 e il 2005. Solo che, stavolta, era tutto finto e tutto reale.
I tossici, gli spacciatori veri si mischiavano con le comparse.
Scampia, con le sue Vele, costituisce un mondo che non si incontra da nessuna altra parte della terra. Dalla bellezza dei palazzi, alla fatiscenza estrema, offre una scenografia che neanche il migliore professionista del cinema credo potrebbe inventarsi.
La gente per qualche giorno ha goduto di una quotidianità diversa.
Le donne del quartiere sono state pettinate e truccate da Daniela e Dalia, nei momenti liberi dalle riprese.
Nei mesi di preparazione del film, il mio ufficio faceva da base per Fandango per la scelta del cast.
Per Marco e Ciro, protagonisti non professionisti, è stata un’esperienza che li ha catturati completamente, con un po’ di delusione quando, verso la fine della pellicola, Matteo, il regista, gli ha confessato che sarebbero morti. Dal mio studio è passato anche l’esercito di comparse cinesi, prima di arrivare alla loro casa-fabbrica.
Lavorare in questo film è stato come tuffarsi interamente nelle vicende narrate: i luoghi sapevano veramente di diossina e di camorra.
Tutto il set, dalle comparse ai primi attori, sottoscritto compreso, è fatto della gente di Gomorra, che cerca di farsi strada nella vita.
In modo più o meno pulito.