Nel 1902, a soli 7 anni, fu colpita da una grave forma di poliomielite, che le causò un difetto alla gamba destra. Dorothea Lange reagì al suo handicap con estrema motivazione, studiando fotografia a New York con Clarence White e collaborando con diversi studi, come quello, celebre, di Arnold Genthe.
Nel 1918 si spostò a San Francisco, aprendo un suo studio personale e diventando parte integrante della vita della città, fino alla morte. Proprio lì dove Genthe aveva costruito il suo successo, prima di spostarsi a New York, Dorothea Lange consolidò il suo futuro: sposò il pittore Maynard Dixon ed ebbe due figli, Daniel (1925) e John (1928). Nel frattempo, complice il clima sociale di assoluto interesse documentaristico, andò per le strade a immortalare la misera realtà dei quartieri disagiati, aderendo formalmente al movimento della straight photography.
La sua capillare opera di ricognizione tra disoccupati e senzatetto della California suscitò le immediate attenzioni della Rural Resettlment Administration, organismo federale di monitoraggio della crisi destinata, in seguito, a diventare l'FSA (Farm Security Administration). Tra il 1935 e il 1939, le venne commissionato un gran numero reportage, in special modo sulla condizione degli immigrati, dei braccianti e degli operai. Il 1935 fu anche l'anno in cui Dorothea divorziò da Dixon, sposando l'economista e docente universitario Paul Schuster Taylor. Taylor divenne l'uomo-chiave della sua attività professionale: ai reportage fotografici della moglie, Taylor contribuì con interviste, raccolte di dati e analisi statistiche.
Alcuni scatti di Dorothea Lange, grazie alla frequente pubblicazione dei suoi lavori nelle riviste dell'epoca, diventarono molto famosi. Su tutte, Migrant mother fu probabilmente quella che tutt'oggi viene considerata un'icona della storia della fotografia: il soggetto è Florence Owens Thompson, una donna di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo di piselli in California (il titolo originale, infatti, è Destitute Pea Picker). Esiste un curioso aneddoto circa questa fotografia: nello scatto originale, appare una mano in basso a destra, che però nella foto andata in diffusione di stampa è stata ritoccata.
Nel 1947 collaborò alla nascita dell'agenzia Magnum e nel 1952 fu tra i fondatori della rivista Aperture.
A causa delle cattive condizioni di salute in cui versò negli ultimi anni di vita, la sua attività subì una brusca battuta d'arresto. Morì a 70 anni per le conseguenze della poliomielite.
Qualche immagine:
L'icona della Lange, ma che essa stessa ha rinnegato: «Alcune cose che fai prendono vita propria, tagliano i ponti con chi le ha create»: malinconica e ormai malata, scriveva così della sua fotografia più celebre, la Madre migrante, la Madonna della Grande Depressione, simbolo e metafora dell’era rooseveltiana, chiedendo al MoMa di non includerla nella grande mostra retrospettiva che il museo le voleva dedicare (e che invece la incluse, ovviamente).
Una foto che lei non amava più tanto, e ancor meno l’amava la donna che vi compare, la signora Florence Owens Thompson che minacciò più volte di trascinare in tribunale la fotografa, non riconoscendosi in quell’immagine che ai suoi occhi parlava solo di miseria e deprivazione. Quando fu scattata, nel 1936, non diceva questo: Lange lavorava allora per la Fsa, agenzia del New Deal che soccorreva i contadini impoveriti dalla crisi, e quella foto come tutte aveva il compito di risvegliare le coscienze degli americani, di testimoniare la loro dignità e la determinazione malgrado tutte le avversità. Ma così funzionano le icone della storia della fotografia: per affermare se stesse come simboli universali devono negare il proprio oggetto contingente, stravolgerlo, estirparlo chiururgicamente dalla storia per incollarlo nel cielo incorrotto delle emozioni senza contraddizione, dei significati senza se e senza ma. (fonte: Fotocrazia di Michele Smargiassi)