La fotografia si è affermata nel tempo dapprima come procedimento di raffigurazione del paesaggio e dell'architettura, poi come strumento per ritrarre la nascente borghesia e il popolo. La diffusione sempre maggiore del mezzo fotografico portò ad uno sviluppo della sensibilità estetica e all'indagine artistica del nuovo strumento, consentendone l'accesso nelle mostre e nei musei. Ebbe inoltre un ruolo fondamentale nello sviluppo del giornalismo e nel reportage e il miglioramento della tecnologia ne contribuì l'estensione anche nella cattura di immagini dello spazio e del micromondo.
Già il filosofo Aristotele osservò che la luce, passando attraverso un piccolo foro, proiettava un'immagine circolare. Lo studioso arabo Alhazen Ibn Al-Haitham giunse (prima del 1039) alle stesse conclusioni, definendo la scatola nella quale le immagini si riproducevano con il termine camera obscura. Nel 1515 Leonardo da Vinci utilizzò la camera oscura per dimostrare che le immagini hanno natura puntiforme, si propagano in modo rettilineo e vengono invertite nell'ingresso della camera oscura dal foro stenopeico camera oscura leonardiana.
A Gerolamo Cardano fu da attribuirsi, nel 1550, l'utilizzo di una lente convessa per aumentare la luminosità dell'immagine, mentre il veneziano Daniele Barbaro, nel 1568, utilizzò una sorta di diaframma di diametro inferiore a quello della lente per ridurre le aberrazioni.
Materiale sensibile
Catturare la luce richiese però la comprensione dei materiali fotosensibili, che, anche se conosciuti fin dal Medioevo, non furono studiati a fondo fino al 1727, quando lo scienziato tedesco Johann Heinrich Schulze, durante alcuni esperimenti con carbonato di calcio, acqua regia, acido nitrico e argento, scoprì che il composto risultante, fondamentalmente cloruro d'argento, reagiva alla luce. Si accorse che la sostanza non si modificava se esposta alla luce del fuoco (ortocromatismo, contrapposto a pancromatismo ), ma diveniva rosso scura se colpita dalla luce del sole, esattamente come per la maggior parte delle pellicole e carte in bianco e nero diffuse fino alla prima metà del 1900 e basate sugli alogenuri argentici non modificati. Ripeté l'esperimento riempiendo una bottiglia di vetro che, dopo l'esposizione alla luce, si scurì solo nel lato illuminato. Chiamò la sostanza scotophorus, portatrice di tenebre. Una volta pubblicati, gli studi di Schulze provocarono fermento nell'ambiente della ricerca scientifica.
L'invenzione della fotografia
Verso la fine del 1700 l'inglese Thomas Wedgwood, figlio di un famoso ceramista di quel tempo, sperimentò l'utilizzo del nitrato d'argento, prima rivestendone l'interno di recipienti ceramici, poi immergendovi dei fogli di carta esposti poi alla luce dopo avervi deposto degli oggetti. Si accorse che dove la luce colpiva il foglio, la sostanza si anneriva, mentre rimaneva chiara nelle zone coperte dagli oggetti. Queste immagini, però, non si stabilizzavano e perdevano rapidamente contrasto se mantenute alla luce naturale, mentre riposti all'oscuro potevano essere viste alla luce di una lampada (a olio) o di una candela. Utilizzò anche il cuoio come materiale e sistemò dei fogli sensibilizzati all'interno di una camera oscura senza però ottenere risultato alcuno. A causa della salute cagionevole non poté proseguire negli studi che nel 1802 l'amico Sir Humphry Davy descrisse sul "Journal of the Royal Institution of Great Britain", annotando però che non era stato compreso il meccanismo per interrompere il processo di sensibilizzazione. La corrispondenza con James Watt, fa ritenere che nel 1790 - 1791 avvenne la prima impressione di un'immagine chimica su carta.
« Doveva tenersi il 7 aprile 2008 da Sotheby's ma l'asta è stata rinviata. Si tratta di un foglio di carta attribuito a Thomas Wedgwood con impressa una foglia d'albero. Finora si pensava che fosse un "disegno fotogenico" di Talbot ma una piccola W impressa in un angolo ha fatto ricredere lo storico della fotografia Larry Schaaf. Occorrerà anticipare la realizzazione della prima fotografia stabile a distanza di tempo di un ventennio.»
Joseph Nicephore Niepce si interessò della recente scoperta della litografia e approfondì gli studi alla ricerca di una sostanza che potesse impressionarsi alla luce in maniera esatta mantenendo il risultato nel tempo. Il 5 maggio 1816, Joseph Niepce scrisse al fratello Claude del suo ultimo esperimento, un foglio bagnato di cloruro d'argento ed esposto all'interno di una piccola camera oscura. L'immagine risultante apparì invertita, con gli oggetti bianchi su fondo nero. Questo negativo non soddisfece Niepce, che proseguì la ricerca di un procedimento per ottenere direttamente il positivo. Scoprì che il bitume di Giudea era sensibile alla luce e lo utilizzò nel 1822 per produrre delle copie di una incisione del cardinale di Reims, Georges I d'Amboise. Il bitume di Giudea è un tipo di asfalto normalmente solubile all'olio di lavanda, che una volta esposto alla luce indurisce. Niepce cosparse una lastra di peltro con questa sostanza e vi sovrappose l'incisione del cardinale. Dove la luce riuscì a raggiungere la lastra di peltro attraverso le zone chiare dell'incisione, sensibilizzò il bitume, che indurendosi non poté essere eliminato dal successivo lavaggio con olio di lavanda. La superficie rimasta scoperta venne scavata con dell'acquaforte e la lastra finale poté essere utilizzata per la stampa.
Niepce chiamò questo procedimento eliografia e lo utilizzò anche in camera oscura per produrre dei positivi su lastre di stagno. Dopo l'esposizione alla luce e il successivo lavaggio per eliminare il bitume non sensibilizzato, utilizzò i vapori di iodio per annerire le zone lavate dal bitume. A causa della lunghissima esposizione necessaria, fino a otto ore, le riprese all'esterno furono penalizzate dalla luce solare che, cambiando orientamento, rese l'immagine irreale. Maggior successo ebbero le eliografie con luce controllata, ovvero in interni, e su lastre di vetro.
Nel 1827, durante il viaggio verso Londra per trovare il fratello Claude, Niepce si fermò a Parigi e incontrò Louis Jacques Mandé Daguerre: quest'ultimo era già stato informato del lavoro di Niepce dall'ottico Charles Chevalier, fornitore per entrambi di lenti per la camera oscura. Daguerre era un pittore parigino di discreto successo, conosciuto principalmente per aver realizzato il diorama, un teatro che presentava grandi quadri e giochi di luce, per cui Daguerre utilizzava la camera oscura per assicurarsi una prospettiva corretta.
A Londra Niepce presentò l'eliografia alla Royal Society, che non accettò la comunicazione perché Niepce non volle rivelare tutto il procedimento. Tornò a Parigi e si mise in contatto con Daguerre, con il quale concluse nel dicembre 1829 un contratto valido dieci anni per continuare le ricerche in comune. Dopo quattro anni, nel 1833, Niepce morì senza aver potuto pubblicare il suo procedimento. Il figlio Isidore prese il posto nell'associazione con Daguerre, ma non fornì alcun contributo, tanto che Daguerre modificò il contratto e impose il nome dell'invenzione in dagherrotipia, anche se mantenne il contributo di Joseph Niepce. Isidore firmò la modifica pur ritenendola ingiusta. Il nuovo procedimento era molto diverso rispetto a quello originario preparato da Joseph Niepce, quindi si può ritenere in parte corretta la rivendicazione di Daguerre.
Nel 1837 la tecnica raggiunta da Daguerre fu sufficientemente matura da produrre una natura morta di grande pregio. Daguerre utilizzò una lastra di rame con applicata una sottile foglia di argento lucidato, che posta sopra a vapori di iodio reagiva formando ioduro d'argento. Seguì l'esposizione alla camera oscura dove la luce rendeva lo ioduro d'argento nuovamente argento in un modo proporzionale alla luce ricevuta. L'immagine non risultava visibile fino all'esposizione ai vapori di mercurio. Un bagno in una forte soluzione di sale comune fissava, seppure non stabilmente, l'immagine.
In cerca di fondi, Daguerre fu contattato da François Arago, che propose l'acquisto del procedimento da parte dello Stato. Il 6 gennaio 1839 la scoperta di una tecnica per dipingere con la luce fu resa nota con toni entusiastici sul quotidiano Gazette de France e il 19 gennaio nel Literary Gazette.
Il procedimento venne reso pubblico il 19 agosto 1839, quando, in una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti, venne presentato nei particolari tecnici all'assemblea e alla folla radunatesi all'esterno. Arago descrisse la storia e la tecnica legata al dagherrotipo, inoltre presentò una relazione del pittore Paul Delaroche, in cui furono esaltati i minuziosi dettagli dell'immagine e dove si affermò che gli artisti e gli incisori non erano minacciati dalla fotografia, anzi potevano utilizzare il nuovo mezzo per lo studio e l'analisi delle vedute. La relazione terminò con il seguente appunto di Delaroche:
« Per concludere, la mirabile scoperta di monsieur Daguerre ha reso un servizio immenso alle arti. »
(Paul Delaroche)
Daguerre pubblicò un manuale (Historique et description des procédés du dagguerréotype et du diorama) tradotto ed esportato in tutto il mondo, contenente la descrizione dell'eliografia di Niepce e i dettagli della dagherrotipia. Con il cognato Alphonse Giroux, Daguerre si accordò per la fabbricazione delle camere oscure necessarie. Costruite in legno, furono provviste delle lenti acromatiche progettate da Chevalier nel 1829. Questi obiettivi avevano una lunghezza focale di 40,6 cm e una luminosità di f/16, il costo si aggirava intorno ai 400 franchi. Anche se il procedimento fu reso pubblico in Francia, Daguerre acquisì un brevetto in Inghilterra, con il quale impose delle licenze per l'utilizzo della sua scoperta.
In Italia i primi esperimenti di fotografia sono condotti da Enrico Federico Jest e da Antonio Rasetti nell' ottobre del 1839 con un macchinario di loro costruzione basato sui progetti di Daguerre. Le prime fotografie italiane sono vedute del tempio della gran madre, di piazza castello, e di palazzo reale, tutte a Torino.
I procedimenti alternativi
La notizia apparsa sul Gazette de France e sul Literary Gazette destò l'interesse di alcuni ricercatori che stavano lavorando nella stessa direzione. Tra questi William Fox Talbot, che si affrettò a rendere pubbliche la sue scoperte, documentando esperimenti risalenti al 1835. Si trattava di un foglio di carta immerso in sale da cucina e nitrato d'argento, asciugato e coperto con piccoli oggetti come foglie, piume o pizzo, quindi esposto alla luce. Sul foglio di carta compariva il negativo dell'oggetto che il 28 febbraio 1835 Talbot intuì come trasformare in positivo utilizzando un secondo foglio in trasparenza. Utilizzò una forte soluzione di sale o di ioduro di potassio che rendeva meno sensibili gli elementi d'argento per rallentare il processo di dissoluzione dell'immagine. Chiamò questo procedimento sciadografia, che utilizzò già nell'agosto del 1835 per produrre delle piccole immagini di 6,50 cm² della sua tenuta di Lacock Abbey mediante camera oscura.
Il 25 gennaio 1839 Talbot presentò le sue opere alla Royal Society, seguite da una lettera ad Arago, Biot e Humboldt per rivendicare la priorità su Daguerre. Il 20 febbraio fu letta una relazione che rese chiari alcuni aspetti tecnici, al punto da rendere replicabile la procedura.
Insieme a Talbot, anche Sir John Herschel, all'oscuro delle sperimentazioni dei colleghi, utilizzò i sali d'argento ma, grazie alle precedenti esperienze con l'iposolfito di sodio che si accorse sciogliere l'argento, ottenne un fissaggio migliore proprio utilizzando questa sostanza. Ne parlò a Talbot e insieme pubblicarono la scoperta che venne subito adottata anche da Daguerre. La sostanza cambiò in seguito nome in tiosolfato di sodio, anche se rimase conosciuta come iposolfito. Ad Herschel venne attribuita anche l'introduzione dei termini fotografia, negativo e positivo.
Hippolyte Bayard presentò il suo procedimento solo nel luglio del 1839, senza ottenere il successo dei due metodi già esposti.
Tra i procedimenti e varianti minori ricordiamo inoltre quello dello scozzese Mungo Ponton, che utilizzò il più economico bicromato di potassio come sostanza fotosensibile, e quelli di Hercules Florence e Hans Thøger Winther che rivendicavano rispettivamente negli anni 1833 e 1826 degli esperimenti fotografici con esito positivo.
La diffusione iniziale
Vista panoramica di Costantinopoli, stampa all'albumina, 1876.
Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia dei curiosi che affollarono le sempre più frequenti dimostrazioni del procedimento. Rimasero sbalorditi dalla fedeltà dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo particolare, altri paventarono un abbandono della pittura o una drastica riduzione della sua pratica. Questo non avvenne, ma la nascita della fotografia favorì e influenzò la nascita di importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il cubismo e il dadaismo.
La fotografia si affiancò e in alcuni casi sostituì gli strumenti di molti specialisti. La possibilità di catturare un paesaggio in pochi minuti e con una elevata quantità di particolari fece della fotografia l'ideale strumento per i ricercatori e i viaggiatori. Particolarmente attivo fu l'editore Lerebours che ricevette grandi quantità di dagherrotipi dalla Grecia, da Medio Oriente, Europa e America che furono trasformati in acquatinte per la pubblicazione nella serie Excursion daguerriennes.
Nonostante questi successi incoraggianti, la fotografia incontrò inizialmente dei problemi nel ritrarre figure umane a causa delle lunghe esposizioni necessarie. Anche se illuminato da specchi che concentravano la luce del sole, immobilizzato con supporti di legno per impedire i movimenti, il soggetto doveva comunque sopportare una esposizione di almeno otto minuti per ricevere una fotografia in cui appariva con occhi chiusi e un atteggiamento innaturale.
Solo nel 1840 l'introduzione da parte di Joseph Petzval per conto della Voigtländer di un obiettivo di luminosità f/3.6 e dell'aumentata sensibilità della lastra dagherrotipa mediante l'utilizzo di vapori di bromo (John Frederick Goddard) e cloro (Francois Antoine Claudet) permisero esposizioni di soli trenta secondi. La fragilità della lamina argentata fu rafforzata dall'utilizzo di cloruro d'oro per opera di Hippolyte Fizeau, che incrementò anche il contrasto generale.
Calotipia di Talbot del 1842
Il 1841 fu l'anno dell'evoluzione della sciadografia in calotipia ad opera di Talbot, che intuì la possibilità di terminare la trasformazione dei sali d'argento non solo mediante l'azione della luce, ma con l'utilizzo di un nuovo passaggio chiamato sviluppo fotografico. Mentre nella sciadografia l'esposizione continuava fino alla comparsa dell'immagine, nella calotipia l'esposizione venne ridotta a pochi secondi, ed era compito dello sviluppo far apparire l'immagine negativa finale. La carta veniva immersa in una soluzione di nitrato d'argento e acido gallico, esposta e immersa nella stessa soluzione che agisce da rilevatore permettendo la comparsa dell'immagine finale. La stampa necessaria per ottenere il positivo utilizzava il solito cloruro d'argento. Per questo nuovo procedimento Talbot richiese e ottenne un brevetto in Inghilterra, per monetizzare la sua scoperta e seguire l'esempio di Daguerre. Tra il 1844 e il 1846 Talbot produsse in migliaia di copie quello che può essere definito il primo libro fotografico, il Pencil of Nature, contenente 24 calotipi.
Grazie a questi progressi tecnologici, nuovi laboratori aprirono in tutto il mondo. In America, che ottenne il primato della quantità di dagherrotipi prodotti, la fotografia fu importata da Samuel Morse e dal francese François Gourard. Ottenne un grande successo e nel 1850 si contavano più di 80 laboratori nella sola New York, vennero catturati paesaggi del Canada e della frontiera occidentale. Le lastre argentate furono qui prodotte utilizzando macchine a vapore e con il trattamento elettrolitico, che aumentava la quantità di argento sulla lastra. Questo procedimento fu poi importato in Francia e chiamato il metodo americano.
Ambrotipia di un soldato della Guerra di secessione americana, 1860/'65
La moda dei ritratti si sviluppò rapidamente e ne usufruirono tutti i ceti sociali, grazie all'economicità del procedimento. Il dagherrotipo era di solito più apprezzato, perché produceva una sola copia, rendendola quindi più preziosa, e perché di qualità superiore al calotipo, che subiva i difetti dell'utilizzo della carta come supporto per la stampa. I soggetti erano ripresi solitamente in studio, su di uno sfondo bianco, anche se numerosi furono i fotografi itineranti, che si muovevano con le fiere e nei piccoli villaggi. A causa della mortalità ancora elevata, specialmente quella infantile, vennero prodotte anche immagini che ritraevano neonati o bambini deceduti, immortalati su piccole fotografie racchiuse all'interno di ciondoli come ultimo ricordo.
Lo studio di nuovi metodi e la ricerca di materiali per migliorare il processo fotografico non si arrestò. Nel 1851 Frederick Scott Archer introdusse un nuovo procedimento a base di collodio che affiancò e infine sostituì tutte le altre tecniche fotografiche. L'utilizzo del collodio e di lastre in vetro o metallo resero dei negativi di qualità eccezionale, stampati sulle recenti carte albuminate o al carbone. Le lastre al collodio necessitavano di essere esposte ancora umide e sviluppate subito dopo; questa caratteristica, se da un lato permise la consegna immediata del lavoro al cliente, richiese il trasporto del materiale e dei chimici per la preparazione delle lastre nelle attività all'esterno. Il procedimento fu denominato a lastra umida o collodio umido. Dall'intuizione che da un negativo al collodio sottoesposto era possibile ottenere un immediato positivo grazie all'applicazione di una superficie scura sul retro nacquero due tecniche fotografiche, l'ambrotipia brevettata nel 1854 che utilizzò una lastra di vetro, e la ferrotipia, su superficie di metallo.
Una particolare applicazione della lastra umida nacque per soddisfare l'enorme richiesta di ritratti. Brevettata nel 1854 da André Adolphe Eugène Disderi, si componeva di una fotocamera a quattro obiettivi che impressionava una lastra con due esposizioni, per un totale di otto immagini da 10x6 cm, stampati a contatto su carta che, a causa delle piccole dimensioni, vennero chiamati carte de visite.
In Italia i primi giornali illustrati da fotografie furono "L'illustrazione italiana" (7 novembre 1863) e "L'illustrazione universale" (3 gennaio 1864).
La richiesta sempre pressante di materiali, strumenti e fotografie produsse un nuovo mercato di fabbriche e laboratori specializzati. La produzione di carta albuminata richiese l'impiego, nella sola fabbrica di Dresda, di circa 60.000 uova al giorno. I laboratori fotografici divennero delle catene di montaggio dove ogni compito era demandato ad un singolo individuo. Una persona si occupava della preparazione delle lastre, che venivano portate al fotografo per l'esposizione e in seguito assegnate ad un altro collaboratore per lo sviluppo. Infine, le lastre erano pronte per il fissaggio conclusivo in un'altra stanza. Erano inoltre presenti delle assistenti per accogliere i clienti e indicar loro la posa più opportuna.
Il popolare formato a carte de visite fece nascere la moda dell'album fotografico, dove presero posto i ritratti di famiglia e spesso anche di famosi personaggi dell'epoca. In America si vendettero oltre mille fotografie dell'eroe di Fort Sumter, il maggiore Robert Anderson e in Inghilterra vennero prodotte un gran numero di immagini raffiguranti i reali.
Anche la fotografia paesaggistica fornì elevate quantità di cartoline raffiguranti vedute, monumenti, quartieri o edifici storici da consegnare al turista in visita. Nel 1860 in Scozia, il laboratorio di George Washington Wilson produsse più di tremila fotografie al giorno, utilizzando dei negativi di vetro posti a contatto su carta albuminata, trasportata su nastri all'aperto per l'esposizione alla luce solare.
La necessità di produrre lenti e apparecchiature fotografiche vide la nascita e lo sviluppo di importanti aziende fotografiche, che grazie al loro impegno e sviluppo portarono numerose innovazioni anche nel campo dell'ottica e della fisica. Già nella seconda metà del 1800 furono fondate aziende importanti come la Carl Zeiss, la Agfa, la Leica, la Ilford e la Kodak.
Le carte de visite e tutte le immagini prodotte in tirature elevate risultavano di bassa qualità a causa della meccanizzazione dell'inquadratura e dello sviluppo. Alcuni laboratori imposero però uno stile estetico più ricercato, producendo ritratti più attenti al carattere del soggetto, utilizzando pose audaci, inquadrature più ravvicinate e illuminazioni studiate. A capo di questi laboratori troviamo solitamente dei pittori, scultori o artisti riconvertiti alla fotografia, che adottarono le tecniche delle arti maggiori anche nel nuovo procedimento. Si fecero portatori di questo nuovo corso gli studi di Nadar, un parigino dalla forte personalità che si rese noto anche per la prima fotografia aerea della storia nel 1858 a bordo di un pallone aerostatico corredato da camera oscura, e il laboratorio di Étienne Carjat. Davanti ai loro obiettivi si trovarono molti dei più importanti personaggi del periodo, come Charles Baudelaire, Gustave Courbet e Victor Hugo.
Ambientazioni particolari, drappeggi di velluto e luci soffuse esaltarono il soggetto, e dove non arrivava la scenografia si utilizzò il ritocco della fotografia, ammorbidendo i segni dell'età o cancellando imperfezioni. La tecnica del ritocco è stata sempre un'attività discussa tra chi intende la fotografica come un documento della realtà e chi vuole uno strumento flessibile per migliorare o realizzare la visione artistica del fotografo.
L'approccio estetico alla fotografia richiese l'adozione di alcune tecniche per introdurre degli effetti pittorici e rendere l'immagine comparabile al dipinto, per questo furono utilizzate la doppia esposizione e il fotomontaggio. L'artista svedese Oscar Rejlander utilizzò trenta negativi diversi nella famosa immagine Le due strade della vita del 1857, mentre il fotografo Gustave Le Gray, per eliminare l'effetto della solarizzazione a cui erano soggette le emulsioni di quel periodo, espose due negativi con tempi diversi, uno per il cielo e uno per il paesaggio, stampandoli poi insieme. Questa tecnica è tuttora utilizzata per estendere la latitudine di posa.
Fading Away di Henry Peach Robinson, 1858
Nel 1858 l'immagine Fading away di Henry Peach Robinson, raffigurante una giovane ragazza sul letto di morte circondata dai suoi parenti, venne criticata a causa del soggetto drammatico, ritenuto non opportuno per un'immagine fotografica, considerata ancora solo uno strumento per documentare la realtà e non per interpretarla artisticamente. Se da un lato la fotografia si adoperò per imitare la pittura, quest'ultima utilizzò sempre più frequentemente il dettaglio prodotto dalle fotografie come studio per la realizzazione dei quadri. Ne fecero uso William Powell Frith per Derby day e anche Eugène Delacroix per la gestualità dei personaggi, nonché altri pittori del periodo.
Nel 1866 Peter Henry Emerson dichiarò la fotografia arte pittorica, elogiando l'utilizzo della neonata tecnica di stampa al platino, della fotoincisione e della sfocatura controllata per sfumare il soggetto, anche se in seguito ritrattò dichiarando che la fotografia era inferiore alla pittura. Nonostante questo, la fotografia pittorica o pittorialismo conquistò diversi circoli fotografici, come il Klub der Amateur-Photographen che nel 1891 organizzò una mostra con immagini scelte secondo il gusto estetico di una giuria di scultori e pittori, a cui seguì una serie di esposizioni annuali intitolate The Photographic Salon organizzate dal circolo Linked Ring.
Nel 1894 fecero la comparsa al Photographic Salon delle immagini prodotte da Robert Demachy con il procedimento alla gomma bicromatata, che rendeva l'immagine molto simile ad un dipinto o ad un disegno. Protagonista delle mostre europee, direttore della rivista fotografica Camera Work, Alfred Stieglitz fondò il 17 febbraio 1902 il circolo fotografico Photo-Secession insieme a importanti fotografi affermati come Eduard Steichen, Clarence White, Edmund Stirling. Fotografo brillante e acuto innovatore, Stieglitz utilizzò diversi procedimenti fotografici e fu tra i primi a utilizzare un apparecchio portatile per foto artistiche, lasciando ai posteri splendide immagini in ogni genere fotografico.
L'inizio del nuovo secolo vide la negazione della fotografia come imitazione della pittura, a cui seguì quindi l'abbandono di tutte quelle tecniche che trasformavano l'immagine simulando i tratti del pennello. Il nuovo corso propendeva verso la fotografia pura, diretta, come strumento estetico fine a sé stesso. Nacque quindi nella prima metà del '900 negli Stati Uniti il movimento della Straight photography, che invitò i fotografi a scendere nelle strade della gente comune e della classe operaia, ritraendo cantieri, metropoli, cieli drammatici, alla ricerca della forma pura o ripetuta, astratta, estetica comune al cubismo e ai nuovi movimenti artistici derivati. A questo nuovo movimento contribuirono autori come Paul Strand, Charles Sheeler, Edward Steichen, Edward Weston. L'opera di quest'ultimo, alla ricerca della tecnica perfetta e della nitidezza assoluta, diede spirito ad una associazione di fotografi in cui figuravano Ansel Adams, Imogen Cunningham, John Paul Edwards, Sonya Noskowiak, Henry Swift, Willard Van Dyke e lo stesso Weston per la formazione del Gruppo f/64, dal valore in cui il diaframma fornisce la profondità di campo maggiore.
La ricerca di nuove forme e di punti di vista eccentrici incontrarono i movimenti d'avanguardia del XX secolo. Vennero reinterpretate tecniche desuete come la stenoscopia e la sciadografia, reinventata da Christian Schad nella schadografia. L'indagine astratta portò alla messa a punto di nuovi procedimenti, quali la rayografia, la vortografia, il fotomontaggio o collage, utilizzato dai dadaisti. Esponenti delle nuove forme artistiche furono Man Ray, El Lissitzky, Aleksandr Rodchenko, Paul Citroen.
La bolla di inferiorità rispetto alla pittura fu attribuita alla fotografia fin dalla sua prima diffusione. Poteva uno strumento tecnico (chimico/ottico/meccanico) esprimere una sensazione artistica individuale?
A parte le posizioni della chiesa
Il documento fotografico
Il digitale
Fonte: wikipedia.it